giovedì, novembre 22, 2018

POCHI SECONDI DI IMMORTALITA'

Con rapido passo, mi accingo allo rientro
satollo di parco pasto,
vagamente flatulente
e del resto m'importa niente

Ella, parvola tra le puelle, nera e seducente come lo dimonio,
distribuisce volantini innanzi a la culla de l'economica canoscenza
non m'illudo, guardo e passo, di desio orbato
non faccio torto al mio comprendonio

Son anni ch'io nei pressi di quel pietroso sagrato, da decine di donzelle presidiato,
vengo bellamente ignorato,
io come li colleghi miei, di ogni analoga consegna privato;
edotto, ahimè, de le ingiurie di Cronos
e di quanto se la tiran quelle

Poscia l'imprevisto! e, lo drugo direbbe, pronto m'incisto!

Ammaliante, repente e siccome luciferina la bellina m'adocchia,
e tende l'amorevole manina che stringe
l'ignoto invito,
a guisa di Babbo Natale per lo ceruleo e spento oculo meo
"L'ammaliante ammaliata?"
speranzoso tra me e me mi dico

Lo guardo mio si ridesta!
l'ascoso memento di vetuste pugne turgido si ridesta:
un party universitario!
oppure una grande festa!

Pochi secondi,
per smettere di sognare
miro tra le dita tremanti
lo volgare pieghevole di "chickenbot.it"
menu Pollo&Patate
ed è quell'ultimo plurale
a farmi smettere,
de la Bernarda
vagheggiare...



venerdì, ottobre 12, 2018

MAI NAGOYA

Entro nel ristorante Nagoya e chiedo di sedermi.
Il ristorante si presenta come "giapponese", ma è evidente, fin dal menu, che
l'unica cosa proveniente dal "sol levante" nel locale è forse il device per prendere le ordinazioni,
il resto rimanda tutto all'impero del dragone.

La cameriera sorride e gesticolando, ignorando totalmente la mia lingua, mi colloca praticamente di fronte ad un ragazzo che sta finendo di mangiare,
i tratti somatici mi fanno pensare che il ragazzo non sia italiano. In effetti scoprirò essere rumeno.
Mi siedo e lo saluto, lui risponde cordialmente.
Ci mettiamo a parlare e gli chiedo consigli su cosa prendere,
lui mi guarda e, in cattivo italiano, mi invita a prendere diverse portate e chiosa:
"Perché in Italia (sic) il cibo è il massimo". Frase surreale, considerando la location.

Capisco immediatamente di trovarmi di fronte ad un fuoriclasse.
Mi dice che per motivi di lavoro passa una settimana in Italia, ma lui vive in Inghilterra
dove il cibo fa schifo, in particolare "il cinese non è buono come qui" (secondo me è il contrario,
al netto che in teoria ci si trova in un giapponese).

Il ragazzo ha voglia di parlare, io di fargli domande.
Sommando le sue affermazioni mi rendo conto che le prime erano incomplete e
contraddette dalle ultime, ma fa lo stesso. C'è simpatia reciproca.

Quando trovo il personaggio che ogni frase è una sentenza inappellabile
io che alla sentenza arrivo, quando ci arrivo, solo dopo riflessioni e approfondimenti cervellotici, rimango affascinato.
Lo ascolterei per ore.
Non lo voglio mettere in difficoltà, né essere "lo stronzo" del caso, alla fine stiamo mangiando
insieme ed è piacevole il confronto.
Scopro che anche lui ha due figli, due bambine...o meglio, dopo dieci minuti mi è chiaro che
ne ha in realtà una e la moglie è in attesa della seconda, ma sono di nuovo dettagli.

Ha 37 anni, ma è evidente che ne ha viste parecchie, più del sottoscritto benchè io ne abbia qualcuno di più.
Mi sembra di capire che sia da molto in Inghilterra, in realtà, scopro poi, che è lì da soli due mesi.
Mi spiega, a mia domanda, che l'inglese lui l'ha imparato in TV in Romania dove i film non sono tradotti e,
dopo 6/7 anni, non devi più leggere i sottotitoli in rumeno...

In ogni caso non è uno stupido, tutt'altro.
La cosa meravigliosa è, forse a sua insaputa, la sua posizione politica.
E' molto più a destra di Salvini. La Germania è il male dell'Europa e l'Europa non serve a niente.
Mi dice che è stato in Italia molti anni ma che qui non ci può più stare per i costi esorbitanti,
vorrebbe aprire una attività, ma ti mangiano il 60% di tasse...

Adesso fa il tatuatore a Londra (forse lavora anche in una tipografia, il passaggio è stato un po' oscuro su questa seconda parte)
e mi mostra diverse foto e filmati che ritraggono le sue opere.
Si dimostra molto appassionato al suo lavoro, il primo tatuaggio se l'è fatto su se stesso e posso
vederlo sul suo braccio sinistro. Mi regala delle autentiche perle di saggezza parlando del suo lavoro, fino a divenire
poetico nel suo racconto della settantenne che decide, alla morte del marito, di farsi il primo tatuaggio in ricordo del
compagno scomparso oppure quando mi spiega, con efficacia, il momento preciso nel quale una persona, secondo lui (ma lui ovviamente non precisa che è solo una sua opinione),
decide di farsi il tatuaggio.

Ha una bella mano - "ci sono tanti più bravi di me", afferma per la prima volta in modo umile -
e i disegni sono sì improponibili, a livello di soggetto, ma realizzati benissimo.
Mi regala delle chicche, a suo modo, un po' su tutto: "E' bene non spendere soldi per i vestiti!"
dice, pur indossando un capo di Armani (taroccato? boh).

Parlando della Romania mi chiarisce che là non vuol tornare.
Perché? chiedo io.
Per via della gente di merda, mi dice.
Mi sento quasi in dovere di precisare che quella non manca manco qui,
ma lui non è d'accordo. Pare avere chiarezza delle storture che ci sono qui, ma anche delle cose belle (il clima, il cibo ecc)
e ne parla con dolcezza.

Passando all'Inghilterra afferma senza tema di esser smentito che lì la gente non si lava, e i colori sono tristi: c'è il marrone, il grigio...
Mi spiega che fa anche tatuaggi a domicilio e vede situazioni al limite della decenza a livello igenico.
Però lì si sta tranquilli.
Puoi decidere di lavorare di più o fare il tuo, di migliorare o di limitarti, come fa adesso
lui, di lavorare, tornare a casa a farti una cannetta e stare con la tua famiglia.

E' andato nella perfida (e sporca) Albione per permettere cure migliori alla figlia che non sta bene.
Non approfondisco il tema perché capisco che non è il caso, potrebbe non fare piacere, allora lui mi dice che è contento di essere lì perché vuole che il suo futuro sia migliore di com'è stato il passato.
Non vuole lavorare solo per vivere, ma vuole fare di più.
E' sicuro che arriverà il momento nel quale aprirà la sua attività.
Ha già in mente i primi investimenti da fare.
Non so se ce la farà, ma mi piacerebbe che fosse così.

Riceve una telefona: deve andare a fare un tatuaggio a Settimo, guarda caso la mia città.
Ci stringiamo la mano e uscendo mi dice che ha lasciato il caffè pagato per me.
Un piccolo gesto ma che capisco fatto con molta sincerità.
Una piccola gioia, in effetti.
"In bocca al lupo", gli dico
con la sua stessa sincerità.

venerdì, ottobre 05, 2018

Esordio

La devi vincere. La devi vincere.
E' quello che mi sono sempre ripetuto negli ultimi 27 anni, poco prima di iniziarla.
Non riesco proprio ad immaginare come sarà domenica.
Ci sarà ancora quella meravigliosa adrenalina? 
La predisposizione ad essere, letteralmente, "pronto a tutto" per portarla a casa, alla battaglia, quella concentrazione totale, per spuntarla, l'idea di "vincerla", come sempre, come unico approccio possibile, pur non "giocandola" mi pare, adesso, inadatta al nuovo ruolo...
però l'emozione c'è e, come mi spiegarono i vecchi un tempo, è una gran bella cosa che ci sia, in ogni esordio.
La devo vincere...
#OA

martedì, settembre 18, 2018

4 amici alle bocce


L'Olocausto - Una nuova storia di Laurence Ress

Per le cinque stelle manca la bibliografia...
La lettura cronologica, quasi anno per anno a partire dal 1919-23, è molto interessante e permette di seguire l'evoluzione della persecuzione degli ebrei dall'humus culturale antisemita fino alla pianificazione e industrializzazione dello sterminio.

Dettagliato ma mai pesante o prolisso, "alleggerito" da numerose testimonianze dirette. Nonostante le oltre 500 pagine l'ho letto abbastanza velocemente, merito dell'autore più che del lettore.
Ho trovato paradossale e irritante, nonostante i ringraziamenti finali dell'autore (dove dice di essere debitore di storici e accademici), l'assenza di una bibliografia, così come rari sono stati i riferimenti a piè di pagina dei testi consultati (ma puntuali i riferimenti alle proprie opere...).

giovedì, agosto 30, 2018

"Resto qui" di Marco Balzano. Sospensione dell'incredulità?

Ho letto il libro e mi è piaciuto. E' scorrevole, interessante e la vicenda è originale.
Senza voler essere pedante, pur sapendo di esserlo, vi ho però trovato alcuni limiti. Parlare di "capolavoro" mi pare quindi eccessivo.
Quando si guarda un film o si legge un libro, in particolare se trattasi di romanzo ambientato nel passato, è fondamentale calare, con tutte le scarpe, lo spettatore e/o il lettore in quella dimensione narrativa. Io voglio immaginare di essere effettivamente nel 156 a.C. o nel 1905, ma quando vedi, in un film poco curato, che l'antico romano porta al polso un orologio al quarzo o quando leggi che il protagonista del romanzo ambientato nei primissimi anni del '900 fu salvato dalla penicillina, tutto questo scema miseramente.
Qualcosa di analogo mi è capitato leggendo di "Jeep" e, ipoteticamente possibili ma improbabili, "Caterpillar".

Faccio un breve elenco di alcuni punti che non mi hanno convinto:
- i personaggi secondari sono poco delineati, per esempio il figlio di Trina che in realtà assume posizioni anche rilevanti non risulta alla fine credibile: è una stampella al racconto principale, chiamato in causa quando serve. Il cambiamento delle sue idee e delle sue decisioni non è seguito in alcun modo.
- Marica è finita nel nulla, va bene.
Ma rimane un evento implicito, ossia ad un certo punto non se ne parla più: a fine libro mi sono chiesto se mi ero perso un pezzo.
Scrivimi che quella stronza di Marica, non si capisce proprio perché l'abbia fatto (una mezza ipotesi me la puoi buttare lì?), è fuggita di nascosto per sempre.
- Nei ringraziamenti finali si citano alcune persone che hanno letto il libro. Adesso io mi chiedo ma a nessuno, Cristo, è venuto in mente che  parlare 4-5 volte di jeep è un banale anacronismo storico? Nel racconto i carabinieri e il regio esercito italiano - prima dell'8 settembre '43 -  erano dotati di questo veicolo introdotto in Europa dalle truppe statunitense solo nel 1944...il termine stesso "jeep" non ti fa accendere una lucina? E' una parola italiana? E' tedesca?
Bastava un controllo su internet di 1 minuto per verificare l'errore e non catapultarmi in 5 secondi dagli anni quaranta ad agosto 2018 comodamente sdraiato sì nel mio letto, ma con 35 gradi fuori (40 percepiti). Echecazzo.

lunedì, luglio 23, 2018

Buon compleanno Alessio!

Dopo anni di nulla, ricordo la gioia di vederlo correre sulla fascia e saltare come birilli gli avversari.
Direi che di persone che possiamo disprezzare, noi del Toro, ne abbiamo a bizzeffe.
Ecco, io non sceglierei Cerci per fare questa operazione, non lo merita.
 

Tutti a ricordare cosa scrisse la fidanzata e mai nessuno a pensare a quello che si è tatuato sulla pelle...
Poteva finire meglio, d'accordo, ma è inutile rivangare il passato. Con questi parametri, cosa dovremmo mai dire di un Balzaretti?

Io ad Alessio vorrò sempre bene

venerdì, luglio 13, 2018

Quanto pesano i fantasmi

Ho finito ieri sera questo libro «The Things They Carried» (nell'edizione italiana del 1991) che è stato recentemente ripubblicato con un nuovo titolo italiano ("Le cose che portiamo") e una nuova traduzione di Carlo Prosperi.
O'Brien era un autore che non conoscevo e che ho scoperto da poco grazie ad un articolo de "La Lettura" ( CFR.: «la Lettura» #342, in edicola da domenica 17 a sabato 23 giugno 2018).
Nell'articolo O'Brien citava come miglior libro sul Vietnam "Dispacci" di Michael Herr e miglior film «Il cacciatore» di Michael Cimino (1978). Avendo amato entrambi, ho pensato bene di leggere il libro di O'Brien che mi è piaciuto ma non mi ha convinto del tutto, forse per limiti miei. O'Brien prende spunto da eventi reali per trasfigurarli, modificarli e inventare situazioni verosimili. Il gioco è dichiarato esplicitamente, ma personalmente questa "crasi" non mi è piaciuta. Anche perché sull'espediente l'autore gioca molto raccontando per esempio la stessa storia cambiandola diverse volte, al limite dello stucchevole. Il senso l'ho colto e non ne nego l'efficacia, ossia il messaggio sull'assurdità del conflitto passa chiaramente, ma personalmente avrei preferito leggere due libri: un romanzo e un racconto veritiero/saggio. In alcune recensioni su "Quanto pesano i fantasmi" ho letto un accostamento a "A sangue freddo" di Capote (un capolavoro assoluto), per quanto concerne la tecnica utilizzata. Accostamento secondo me errato là infatti i fatti erano tutti veri, arricchiti con espedienti tipici del romanzo. Qui non si capisce mai quello che è vero e quello che non lo è.
La scrittura è di alto livello e alcune immagini sono davvero magistrali, quindi la lettura è consigliata. Per le perplessità di sopra ho però deciso che non leggerò il suo romanzo più famoso "Inseguendo Cacciato"...avendo letto che il libro è "stralunato, grottesco, onirico".
Il particolare quando leggo il termine "onirico" associato ad un libro è quello che mi fa capire immediatamente che non fa per me. Con unica, significativa eccezione de "Il maestro e Margherita"...

giovedì, febbraio 22, 2018

Tornando a bomba...1894


    La prima squadra di Torino

Autunno tedesco

Visto che spesso mi si accusa di scrivere solo del Toro (o al massimo di parlar male della mia Santippe), mi permetto di condividere una recensione ad un libro che ho finito di leggere da poco, grazie ai miei viaggi culturali gentilmente offerti da SADEM.

E' inutile dire che gli amici gobbi che abbisognano di delucidazioni in merito, onde seguire a grandi linee il filo del discorso, possono contattarmi in privato.

Scopriranno eventi incredibili e sconosciuti, ma di un certo interesse. Poi potranno tornare agli scritti di Higuain, ma con maggior consapevolezza.

AUTUNNO TEDESCO (Tysk höst 1947) di S.Dagerman

Stig Dagerman si recò alla fine del 1946 in Germania, visitando parecchie città distrutte dalla guerra e vi rimase per un paio di mesi. Fece poi ritorno in patria, in Svezia, per poter riflettere e scrivere e non "abituarsi" a vedere una sequenza ininterrotta di macerie e di persone sofferenti, un aspetto – l’abitudine - che avrebbe probabilmente inficiato i suoi resoconti.

Dagerman, morto suicida il 5 novembre del 1954, era anarchico e, partendo da una posizione non ideologica né preconcetta, scrisse un reportage giornalistico - anche se lui non si definiva certo un giornalista, non a caso dice a pag 132: "Il giornalismo è l'arte di arrivare tardi il più in fretta possibile. Io non la imparerò mai" -  che ha il valore di opera letteraria.

Lo scrittore svedese, riesce a mettere in luce aspetti incredibili delle vicende post-belliche tedesche (la farsa dei processi di de-nazificazione, la possibilità di "acquistare" da un ebreo una artefatta testimonianza favorevole negli stessi ecc) e paradossi politici (le pretese nazionalistiche del socialdemocratico Kurt Schumacher che avevano il pieno appoggio degli "ex" nazisti).

Per la sua onestà intellettuale e la vicinanza umana alle sofferenze raccontate, senza per questo in alcun modo sminuire le responsabilità dei tedeschi nello scatenare e condurre una guerra spietata (episodio del ponte di transenne ricoperto, per scherno, di corpi nudi di russi uccisi dalla Wehrmacht) fu duramente criticato. 

La sua grande sensibilità emerge chiaramente nei suoi articoli che in ogni caso risultano asciutti e non si dilungano inutilmente in descrizioni superflue, gli permette di fare una riflessione, e siamo nel 1946, su una questione che, nei successivi 70 anni, ossia fino ad oggi, è stata molto dibattuta e risulta ancora complessa, scrivendo parole illuminanti: perché i sopravvissuti ai campi di concentramento non vogliono ricordare?

Dagerman scrive profeticamente: "La sofferenza, una volta sofferta, non deve più esistere. Questa sofferenza era sporca, disgustosa, bassa e meschina, e per questo non si deve né parlarne né scriverne. La distanza è troppo breve tra la poesia e la più grande delle sofferenze; solo quando diventerà un ricordo purificato i tempi saranno maturi." 
(pagina 124).

Gli articoli furono raccolti ed emendati nel libro che uscì nel 1947, solo a fine anni 70 iniziò ad essere tradotto all’estero, in Germania, Francia ecc in Italia arrivò, ahimè, solo a fine anni 80.


Leggete questo capolavoro.

Torino, Edizioni Lindau, 2007 
(con il saggio di Fulvio Ferrari, L'arte di arrivare troppo tardi il più in fretta possibile). 

giovedì, febbraio 01, 2018

Chi non salta insieme a noi cos'è?

Campionato nazionale under 17
Domenica 27 gennaio 2018 un Toro primo in classifica travolge la Juventus 4-1.
A fine gara i Ragazzi del Toro esultano così:



Grazie Ragazzi!
Vi vogliamo così!
FVCG

lunedì, gennaio 22, 2018

Professore di cosa?

In quel ristorante dove si mangia un ottimo pesce vado di rado, non è proprio in una posizione comoda per me, ma soprattutto perché mi piace centellinare le mie presenze
per gustarmi meglio le prelibatezze che propone.
Il proprietario, dallo stile sempre impeccabile, si ricorda di me e mi accoglie piacevolmente, mi fa accomodare in una stanza dove ad un altro tavolo è già seduta una persona,
un signore anziano che, dopo qualche minuto, amabilmente, scambia, lui per primo, qualche parola con me.
Mi dice che viene spesso, essendo goloso e abitando lì vicino e che i proprietari sono persone per bene.
Ammetto di essere anch'io goloso, di amare il buon cibo e di aver già apprezzato in passato il clima che si respira nel locale.
Poi arriva il mio piatto e mi metto a mangiare, smanettando contemporaneamente sullo smartphone.
Arriva anche per il signore un secondo piatto, "tutto a posto professore?", chiede Silvio, il proprietario.
Passa qualche minuto e, superando la castrante discrezione sabauda, avendo capito che al mio commensale non sarebbe dispiaciuto continuare a chiacchierare
ed effettivamente incuriosito dalla persona, chiedo: "mah...professore di cosa?".

Antonio, così si chiama il signore, è "ricercatore in Biotecnologie", mi dice, anzi, precisa, un "ex".
Mi racconta di alcuni suoi studi, che si è laureato in psicologia a Padova, del master a Bologna. Dell'amore per gli studi classici, studi fatti non in gioventù, con difficoltà
partendo da una famiglia poverissima.
Mi parla di come pensa l'insegnamento per i più piccoli, all'importanza del metodo di studio.
Il discorso è interessante. Anch'io, dico, ho fatto un master, dopo la laurea a Torino e, avendo due bambini piccoli, sono particolarmente attento ad ascoltare delle considerazioni sulla loro educazione.

Inizio a pensare che sarebbe bello, essendo persona piacevole e lucida, nonostante l'età non più giovanissima, averlo come
utente al prossimo test di usabilità, forse una scusa per non perdere la possibilità di rivederlo in futuro.
Chiedo quindi se ha dimestichezza con l'uso del computer, "certo" mi dice.
Mi faccio dare i suoi dati e lascio i miei, dicendo dove lavoro: "ah! proprio lì ho imparato ad usare il computer! E poi l'ho insegnato ai ragazzi delle 150 ore"
Il clima è piacevole e diventa amichevole.
Non ricordo bene come o perché, mi chiede di quale squadra io sia.
Con malcelato vanto, preciso di essere del Toro, di quale altra squadra dovrei mai essere?
Avendo abbandonato il "lei", a mia volta domando: "E tu?" Come facevo da ragazzino e come forse, non lo so, si fa ancora tra ragazzi.
Lui rimane un attimo in silenzio...ed io, lo ammetto, penso male, mi dico, una persona così piacevole deve essere dei nostri, invece questa titubanza mi fa pensare che sia dei loro...
ma poi Antonio mi rassicura: "Sono del Toro anch'io!". Non poteva essere diversamente.
Un altro punto in comune.
Si passa quindi da un clima amichevole ad uno fraterno, com'è normale tra granata, nonostante la differenza d'età, io a metà dei quaranta, lui a metà dei settanta.
Lui mi racconta con grande entusiasmo dei libri che ha scritto sul Toro, parliamo dei tifosi vip granata che lo hanno deluso e di quelli che lo hanno aiutato
nelle sue iniziative benefiche a favore dei bambini.
"Anche Silvio è del Toro!" mi fa.
Silvio ci raggiunge e insieme ci mettiamo a ricordare i vecchi tempi, amici tifosi che ahimè non ci sono più e si pensa di fare una cena, con quei tifosi veri,
con qualche ex giocatore (Eraldo Pecci).
Parlando amabilmente viene anche fuori che Antonio è stato arbitro di calcio, come me! E poi dirigente AIA.
E, mentre io sto facendo il corso da Osservatore, mi rivela che partecipò a definire il nuovo nome del "commissario" di campo,
oggi noto appunto come "Osservatore arbitrale" (lui aveva proposto "Osservatore tecnico").
Ricordiamo amici comuni che hanno fatto parte dell'associazione e a quel punto, dopo aver salutato Silvio,
Antonio mi chiede di accompagnarlo al bar accanto del tifoso del Toro che non c'è più per offrirmi un caffè.
Sembra una maledizione, ma è sempre così con il Toro, è "vita", la sua bellezza che si intreccia con le sue inevitabili tragedie, in continuazione, ahimè... 
Lo seguo e continuiamo a parlare, mi dice di aver fatto parte del consiglio di amministrazione del Toro di Borsano e
quando gli parlo del viaggio ad Amsterdam in treno, per la finale di Coppa UEFA, mi dice che c'era anche lui,
volato in Olanda con i dirigenti del tempo, dopo aver detto alla moglie che era in trasferta per lavoro.
Ridiamo delle pazzie che questa maglia colore del sangue ci fa fare.
Usciamo ed incrociamo di nuovo Silvio e ribadiamo la volontà di rivederci un lunedì sera, quando il suo locale è chiuso.
Distratto dalla condivisione dei nostri ricordi, non so neanche più dove ho messo la macchina e camminiamo su e giù per la via fino a ritrovarla dopo un po'.
E' una macchina familiare e l'associazione mentale mi porta a parlare del mio amore per i miei due bambini.
Il momento più triste è quello del saluto, io gli faccio vedere le foto dei miei bimbi vestiti di granata
e lui mi dice che gli sarebbe piaciuto diventare nonno, ma non è stato possibile.
Dal suo tono immagino quello che mi dirà, poi Antonio mi conferma la morte in giovane età del suo unico figlio, per un maledetto incidente stradale.
Io sono commosso, come lo è lui, chiedo di poterlo abbracciare. Antonio acconsente.
Ci stringiamo forte, come vecchi amici anche se ci conosciamo da un'ora.

A stretto giro di posta, come si dice, Antonio mi manderà poi alcune foto inedite del Grande Torino, come mi aveva promesso,
e un saluto dove mi invitava a sorridere sempre.
Con queste parole intendo ringraziarlo per il tempo che mi ha dedicato e per il suo insegnamento,
una persona fisicamente minuta ma che mi ha mostra grande forza, non perdendo la dolcezza
nonostante le prove che ha dovuto affrontare nella sua vita.
Ti voglio bene, Antonio.

E poi qualcuno ti vuol fare credere che il Toro è una squadra come un'altra...

venerdì, gennaio 12, 2018

"Decifrare il futuro con i classici" di Ester Armanino

Perché se tu e io vivessimo nell’Odissea e uno straniero si presentasse alla nostra porta, prima gli prepareremmo la cena, poi lo faremmo mettere a suo agio con un po’ di musica, e solo dopo gli chiederemmo: chi sei, straniero? qual è la tua storia? Perché se ci scrivessimo messaggi in greco antico, potremmo usare la forma duale che non indicherebbe un noi generico, per molti, ma proprio per noi due, me e te. Perché la Divina Commedia finisce dicendo che è l’amore che muove il sole e le altre stelle: pensa cosa è in grado di fare se gli permettiamo di agire.

Queste sono alcune delle risposte che darei ad un figlio o una figlia se mi chiedesse perché scegliere il liceo classico oggi. Risposte pratiche, lo riconosco, ma sono le stesse risposte che mia madre mi ha dato nel lontano 1995 e che all’epoca mi sono sembrate rivoluzionarie. E per questo è giusto festeggiare questa sera alla Notte dei Licei.
Della questione mi capita di parlare abbastanza spesso, forse perché dentro di me ho ancora accesa la torcia olimpica di un’adolescenza “classica”. Molti sostengono che lo studio del greco e del latino sia una faticosa perdita di tempo, uno sforzo che ruba energie allo studio di materie che invece vanno al passo con i tempi, e a un certo punto della conversazione se ne escono con: ma scusa, sinceramente, a che serve studiare una lingua morta?
In quel momento, confesso, mi sento incredibilmente viva.
E allora come motivazione aggiungerei: perché ti sentirai incredibilmente vivo tra i morti e morto tra i vivi, imparando che il tempo è una soglia che puoi spostare a tuo piacimento attraverso l’arte.
Perché ogni minuto passato a discutere sulla traduzione di una parola difficile, complicata da aprire una cassaforte con la sua combinazione, sarà proporzionale alla tua volontà di comprendere il mondo, e ci vorrà sempre più pazienza, credimi, le lingue morte da due diventeranno centinaia ma se tu sarai preparato, comprenderai.
Perché è importante imparare un mestiere, ma più importante è imparare a pensare. E non c’è fatica così poco pratica ma tanto ripagata come quella di chi forma il suo pensiero sulla cultura classica.
Perché, non hai visto quel tatuaggio che ti piace, cosa dice? Per aspera, ad astra.
A un figlio o a una figlia che stasera potrebbe capitare alla Notte dei Licei, non ho dubbi, risponderei così.

BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
dalla prima pagina (continua a pagina 25) de LA STAMPA del 12.01.18