In quel ristorante dove si mangia un ottimo pesce vado di
rado, non è proprio in una posizione comoda per me, ma soprattutto perché mi
piace centellinare le mie presenze
per gustarmi meglio le prelibatezze che propone.
Il proprietario, dallo stile sempre impeccabile, si ricorda
di me e mi accoglie piacevolmente, mi fa accomodare in una stanza dove ad un
altro tavolo è già seduta una persona,
un signore anziano che, dopo qualche minuto, amabilmente,
scambia, lui per primo, qualche parola con me.
Mi dice che viene spesso, essendo goloso e abitando lì
vicino e che i proprietari sono persone per bene.
Ammetto di essere anch'io goloso, di amare il buon cibo e di
aver già apprezzato in passato il clima che si respira nel locale.
Poi arriva il mio piatto e mi metto a mangiare, smanettando
contemporaneamente sullo smartphone.
Arriva anche per il signore un secondo piatto, "tutto a
posto professore?", chiede Silvio, il proprietario.
Passa qualche minuto e, superando la castrante discrezione
sabauda, avendo capito che al mio commensale non sarebbe dispiaciuto continuare
a chiacchierare
ed effettivamente incuriosito dalla persona, chiedo:
"mah...professore di cosa?".
Antonio, così si chiama il signore, è "ricercatore in
Biotecnologie", mi dice, anzi, precisa, un "ex".
Mi racconta di alcuni suoi studi, che si è laureato in
psicologia a Padova, del master a Bologna. Dell'amore per gli studi classici,
studi fatti non in gioventù, con difficoltà
partendo da una famiglia poverissima.
Mi parla di come pensa l'insegnamento per i più piccoli,
all'importanza del metodo di studio.
Il discorso è interessante. Anch'io, dico, ho fatto un
master, dopo la laurea a Torino e, avendo due bambini piccoli, sono
particolarmente attento ad ascoltare delle considerazioni sulla loro
educazione.
Inizio a pensare che sarebbe bello, essendo persona
piacevole e lucida, nonostante l'età non più giovanissima, averlo come
utente al prossimo test di usabilità, forse una scusa per
non perdere la possibilità di rivederlo in futuro.
Chiedo quindi se ha dimestichezza con l'uso del computer,
"certo" mi dice.
Mi faccio dare i suoi dati e lascio i miei, dicendo dove
lavoro: "ah! proprio lì ho imparato ad usare il computer! E poi l'ho
insegnato ai ragazzi delle 150 ore"
Il clima è piacevole e diventa amichevole.
Non ricordo bene come o perché, mi chiede di quale squadra
io sia.
Con malcelato vanto, preciso di essere del Toro, di quale
altra squadra dovrei mai essere?
Avendo abbandonato il "lei", a mia volta domando:
"E tu?" Come facevo da ragazzino e come forse, non lo so, si fa
ancora tra ragazzi.
Lui rimane un attimo in silenzio...ed io, lo ammetto, penso
male, mi dico, una persona così piacevole deve essere dei nostri, invece questa
titubanza mi fa pensare che sia dei loro...
ma poi Antonio mi rassicura: "Sono del Toro
anch'io!". Non poteva essere diversamente.
Un altro punto in comune.
Si passa quindi da un clima amichevole ad uno fraterno,
com'è normale tra granata, nonostante la differenza d'età, io a metà dei quaranta,
lui a metà dei settanta.
Lui mi racconta con grande entusiasmo dei libri che ha
scritto sul Toro, parliamo dei tifosi vip granata che lo hanno deluso e di
quelli che lo hanno aiutato
nelle sue iniziative benefiche a favore dei bambini.
"Anche Silvio è del Toro!" mi fa.
Silvio ci raggiunge e insieme ci mettiamo a ricordare i
vecchi tempi, amici tifosi che ahimè non ci sono più e si pensa di fare una
cena, con quei tifosi veri,
con qualche ex giocatore (Eraldo Pecci).
Parlando amabilmente viene anche fuori che Antonio è stato
arbitro di calcio, come me! E poi dirigente AIA.
E, mentre io sto facendo il corso da Osservatore, mi rivela
che partecipò a definire il nuovo nome del "commissario" di campo,
oggi noto appunto come "Osservatore arbitrale" (lui
aveva proposto "Osservatore tecnico").
Ricordiamo amici comuni che hanno fatto parte
dell'associazione e a quel punto, dopo aver salutato Silvio,
Antonio mi chiede di accompagnarlo al bar accanto del tifoso
del Toro che non c'è più per offrirmi un caffè.
Sembra una maledizione, ma è sempre così con il Toro, è
"vita", la sua bellezza che si intreccia con le sue inevitabili
tragedie, in continuazione, ahimè...
Lo seguo e continuiamo a parlare, mi dice di aver fatto
parte del consiglio di amministrazione del Toro di Borsano e
quando gli parlo del viaggio ad Amsterdam in treno, per la
finale di Coppa UEFA, mi dice che c'era anche lui,
volato in Olanda con i dirigenti del tempo, dopo aver detto
alla moglie che era in trasferta per lavoro.
Ridiamo delle pazzie che questa maglia colore del sangue ci
fa fare.
Usciamo ed incrociamo di nuovo Silvio e ribadiamo la volontà
di rivederci un lunedì sera, quando il suo locale è chiuso.
Distratto dalla condivisione dei nostri ricordi, non so
neanche più dove ho messo la macchina e camminiamo su e giù per la via fino a
ritrovarla dopo un po'.
E' una macchina familiare e l'associazione mentale mi porta
a parlare del mio amore per i miei due bambini.
Il momento più triste è quello del saluto, io gli faccio
vedere le foto dei miei bimbi vestiti di granata
e lui mi dice che gli sarebbe piaciuto diventare nonno, ma
non è stato possibile.
Dal suo tono immagino quello che mi dirà, poi Antonio mi
conferma la morte in giovane età del suo unico figlio, per un maledetto
incidente stradale.
Io sono commosso, come lo è lui, chiedo di poterlo
abbracciare. Antonio acconsente.
Ci stringiamo forte, come vecchi amici anche se ci
conosciamo da un'ora.
A stretto giro di posta, come si dice, Antonio mi manderà
poi alcune foto inedite del Grande Torino, come mi aveva promesso,
e un saluto dove mi invitava a sorridere sempre.
Con queste parole intendo ringraziarlo per il tempo che mi
ha dedicato e per il suo insegnamento,
una persona fisicamente minuta ma che mi ha mostra grande
forza, non perdendo la dolcezza
nonostante le prove che ha dovuto affrontare nella sua vita.
Ti voglio bene, Antonio.
E poi qualcuno ti vuol fare credere che il Toro è una
squadra come un'altra...
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