mercoledì, ottobre 23, 2024

Noi quattro

Oggi sono stato dai miei per dare un po' di sollievo a mia madre, impegnata tutto il giorno nel seguire mio padre. Ho chiesto di poter esser io a dargli da mangiare. Amo farlo, è una "restituzione" concreta, ma anche simbolica. Il dare nutrimento, il prendersi cura della persona più importante della mia vita. Fa bene a lui, che apprezza il cibo anche se frullato, ma più a me. Non ama solo bere l'acqua con l'addensante, lì serra la bocca, è difficile fargliela aprire e serve tempo. Diversamente dal passato però, potendo fermarmi tutta la giornata, ho potuto apprezzare anche la bellezza di avere il tempo giusto, non risicato come al solito, per fare le cose. In particolare oggi si è ricreato, quando è arrivato anche mio fratello, un clima familiare, quello della famiglia d'origine, che non respiravo più da anni. L'ho apprezzato, l'ho assaporato. 

Questa storia ancora di più ovviamente mi ha fatto capire che ogni momento con le persone che ami va centellinato, meditato mai sprecato. Diventa tardi poi rimediare...Oggi eravamo di nuovo noi. Tutti e quattro, acciaccati, in modi decisamente diversi, ma pur sempre noi quattro, levigati dal tempo. Vivi. Non più a fare la lotta sul divano con papà, mentre mamma cucinava pietanze meravigliose, ma pur sempre insieme guardando un filmone, "Lo squalo". Papà allettato, io incriccato nel divano, mio fratello ad armeggiare un "home theatre" allestito da lui in modo artigianale. Mia madre collassata sul divano, quello in cucina, dopo aver mangiato piatti veloci ma sempre cucinati con il suo tocco inarrivabile. Insieme.

Quando poi sono andato via sono entrato nello studio dov'è presente il tecnigrafo di mio padre, ma a colpirmi di più è stato il cassetto in basso a destra dell'armadio marrone. In alto ho riposto le ciabatte, ma continuavo a guardare quel cassettino e mi sono ricordato che era quello dove erano racchiusi tutti i miei oggetti preziosi, quando ero bambino. L'ho aperto sognando di ritrovare tutto com'era, per tornare, anche per poco, a quegli anni là, delle cuscinate sul divano e degli abbracci, con noi bambini. Nel cassetto ci sono lacci e lucido da scarpe: non sono davvero tornato indietro nel tempo, non si può...




lunedì, ottobre 21, 2024

Las largas sombras

Ho finito l'altra sera di guardare la serie TV "Las largas sombras", basato sul racconto della scrittrice spagnola Elia Barcelò (libro dal primo novembre disponibile anche in italiano). Che dietro ci dovesse essere un romanzo, o meglio qualcuno che sapeva scrivere, l'ho pensato nell'ultima scena, una delle più suggestive, dell'intera serie. Esprime infatti bene quella nostalgia del passato che colpisce un po' tutti, almeno qualche volta nella vita.

In effetti è abbastanza, ma non del tutto, uno spoiler, sia chiaro.

Rita e Candela si salutano e chiudono la serie - immagino anche il romanzo - con questo dialogo:














R: Vieni con me a Londra...sul serio! Vieni, andiamoci insieme, eh...Candela.
C: No. Ti amo tantissimo e credo che sarò sempre un po' ossessionata da te.
R: Però...
C: Però, è finita.
Quello che abbiamo vissuto è stato bello, Rita, la cosa più bella che abbia provato in vita mia e ti giuro che ho passato anni a sognare questo momento, intendo con te qui chiedendomi di fare un tentativo.
R: Però...
C: Credo che entrambe sappiamo che non funzionerà.
No. Che nulla che ciò che vivremo sarebbe incredibile come allora.
E...io preferisco ricordarmi di quello, sai.
E poi io, io sono molto meglio come amica e anche tu....
R: Io no...
C: Non è vero
R: No, invece io sono molto meglio come fidanzata...
C: Non ci credi nemmeno tu

Trovo il termine "incredibile" perfetto.
E' così che in effetti io rivedo certi episodi che mi hanno coinvolto, nel passato, che poi non sono sempre incredibili, ma ai miei occhi così appaiono.
Perfetti in un certo senso, solo in quel momento, con quella persona, in quella circostanza e per me.

martedì, settembre 24, 2024

I consigli di un ex detenuto

1) Ricordati che mentre tu sei recluso, isolato, perfino fossi in infermeria, c’è chi altrove sta nel braccio della morte;

2) Non fare mai il conto alla rovescia, dimentica ogni possibile data di fine pena perché magistrati e destino possono giocare con te, trovare mille ragioni per spostare più avanti la tua liberazione;

3) Le giornate non devono sembrarti tutte uguali, devono essere tutte uguali.
Ogni variazione può rendere difficile la seguente.
Se leggi: lo stesso numero di pagine ogni giorno.
Se fai ginnastica: gli stessi esercizi.
Regola il sonno, regola tutto.
Rendi la vita ipnotica come una lancetta che scorre;

4) Impara una qualunque cosa che non conoscevi;

5) Non ricordare e non fantasticare, vivi nel presente, anche se è fatto di poco o nulla;

6) Ricordati che non sei innocente, comunque;

7) La fede aiuta, ma o ce l’avevi prima o non vale;

8) Prova con la telepatia, ma con una sola persona;

9) Finirà e quando accadrà abbassa la testa, ringrazia e vai.

giovedì, settembre 19, 2024

Incipit di "Storia di mia vita", Janek Gorzyca

 Questo sarà un breve racconto di mia esperienza sulla vita per strada. Tutto comincia nel 1998 di ottobre, io sto in una stanza a Campo dei fiori, contratto di lavoro scaduto, permesso di soggiorno uguale, ho un milione e mezzo di lire in tasca, e penso come riprendere tutto, ma non è facile.

Ad ognuno la sua vittoria, Limonov

Ieri Cineforum all'Eliseo con Oleg, di scena "Limonov" di Kirill Serebrennikov, 138 minuti di Eduard Veniaminovich Savenko (Dzerzhinsk, Nizhny Novgorod, 1943 - Mosca 2020) ben interpretato da Ben Whishaw.
Quando leggo "film visionario" inizio a preoccuparmi.
Come quando un saggio è presentato "come un romanzo" o una ricostruzione di un crimine "sulla falsariga di 'A sangue freddo'".
Il rammarico di non aver ancora letto Limonov di Carrère ieri sera s'è ridestato. Mi dicono (Roberto Cena) essere un bel libro e giudicare il film senza averlo letto mi pare ingeneroso, considerando l'apporto che il testo dà al film e la consulenza di Carrère stesso, che si concede anche un cameo nella pellicola, una vera chicca.
La prima perplessità è il "peso", ossia il tempo dedicato nel film alle diverse fasi della vita di Limonov. A me la parte "sovietica", quella del Limonov ragazzo, interessava moltissimo, e l'ho trovata affascinante, ma era ridotta, troppo veloce; quella newyorkese, molto-troppo jimmorrisoniana, forse più "facile" da rendere cinematograficamente (ma anche facilmente immaginabile quindi..."già vista" mi verrebbe da dire), predominante. Praticamente inesistente quella "francese" e fatta di corsa l'ultima russa, peraltro molto controversa e forse "pericolosa", lo dico con malizia ovviamente, da proporre.
In breve vista la vita pazzesca del protagonista, io l'avrei resa meno "visionaria" e più didascalica, step by step che poi con visionaria secondo me si intende, nel film, la finta morte che segna un passaggio significativo nella vita del protagonista e il dialogo forse immaginario nel bar, sempre a NY, con la sua ex.
Ecco la ex. Qui sta un altro grande problema. O meglio due.
Non possiamo non affrontare l'invadenza delle minne di Viktorija Mirošničenko. E il peso spropositato che hanno nella proposta cinematografica. Paradisiache, a pera ma enormi, materne, spregiudicate, magnificamente ballonzolanti. Una interpretazione, quella delle minne, che mi ha fatto innamorare, ma allo stesso tempo distrarre enormemente, io di questo film ricorderò solo e sempre le tette di Viktorija Mirošničenko. Tette tutt'altro che visionarie, molto concrete e sul grande schermo, vagamente 3D, hanno costituito una esperienza che lascerà il segno nella mia mente.
E nel mio cuore.

PS.: la citazione da non perdere: "I lavoratori sono i cornuti della storia"

giovedì, settembre 05, 2024

Il caso Redureau - Le circostanze attenuanti

Il libretto di André Gide, Il caso Redureau, parla di un ragazzino di quindici anni che uccise, nel 1913, in Francia, un'intera famiglia e la loro domestica, in totale 7 persone, si salvò un piccolino, Pierre Mabit, perché dormiva.
E' un libro che ho ordinato in biblioteca prima delle ferie e che si è dimostrato di incredibile attualità, dopo i fatti di Paderno Dugnano dove un diciassettenne ha ucciso padre, madre e fratellino. 

Il libricino si legge in fretta e una parte la voglio riportare perché mi pare particolarmente interessante e si sofferma su alcuni concetti ancora fondamentali come le "circostanze attenuanti" per il difficile ruolo - che era poi anche uno dei temi cari a Leonardo Sciascia - di chi deve giudicare.

L'avvocato Durand continua: "Il valore morale di una azione è subordinato al grado di libertà di colui che l'ha commessa". E cita questa frase di Villey:"La libertà: ecco la condizione e la giustificazione della responsabilità dell'uomo. E non intendiamo con questo una possibilità fisica di agire in un senso o in un altro; gli animali hanno questa libertà, e non ci si sogna di chiedere conto delle loro azioni. Intendiamo invece la libertà intelligente e ragionata. Ne risulta che due sono le condizioni che stanno alla base dell'imputabilità penale: l'intelligenza, nel senso di ragione morale che fornisce la nozione del bene e del male; e la volontà libera o libertà che permette di scegliere tra il bene e il male". "Senza libertà non c'è responsabilità", dice dal canto suo il professor Saleilles; e precisando cosa bisogna intendere per libertà continua: "La libertà è una condizione, la condizione dell'uomo padrone di se stesso". L'uomo non è responsabile quando è in stato di demenza; gli manca infatti l'intelligenza e la libertà. Non c'è allora né crimine né delitto dice l'articolo 64 del Codice Penale.

Pagine 63-64
Prima edizione Editori Riuniti /Sellerio editore
Maggio 1997

Marcel Redureau fu condannato a 20 anni di reclusione, pena massima per un minorenne
ma morì di tubercolosi, in recluso in colonia penale, nel febbraio del 1916.

mercoledì, agosto 07, 2024

Il desiderio di essere come tutti di Francesco Piccolo

 In Vecchie carte da gioco Rosellina Balbi affronta la questione di cosa significhi essere di sinistra. E soprattutto quella che definisce "la tragedia dell'eguaglianza". Conclude l'articolo così, sotto il mio evidenziatore giallo ben calcato:" Personalmente, sono ancora e sempre del parere che la distinzione da fare sia quella tra l'equaglianza e il diritto all'eguaglianza: la prima non esiste (per fortuna): ciascuno di noi deve fare la sua corsa e arrivare dove potrà, saprà e vorrà. Altra cosa è la parità delle condizioni di partenza: è questo che la sinistra deve ottenere, così come deve continuare a battersi perché la innegabile diversità tra gli uomini non diventi pretesto per la discriminazione e il sopruso dei forti nei confronti dei deboli".

pagina 147

venerdì, agosto 02, 2024

Cos'è il cinema?

 Una volta, sul set di Lattuada e Fellini, Luci del varietà, tutti quelli che avevano in mano la sceneggiatura avevano letto che c'era scritto: alba livida.

Da immagine letteraria, l'alba livida pian piano aveva cominciato a trasformarsi in una cosa da fare, una cosa concreta. L'ostinazione con cui una troupe cerca di realizzare quello che c'è scritto in una sceneggiatura, rende le parole della sceneggiatura un oggetto concreto nella vita di un set.

E così, ogni tanto, mentre si girava, qualcuno irrompeva negli studi e urlava:"L'alba livida!" C'è sèmo! Fóri tutti! C'è l'alba livida!".

E per giorni, con preoccupazione, ognuno dei macchinisti della troupe diceva a Lattuada o a Fellini:"Voi vede' che manco stamattina potremo fa' 'st'alba livida? Er mese scorso semo stati pieni d'albe livide!"

Fare l'alba livida. Ecco cosa è il cinema.

Il paragrafo che chiude "La bella confusione" di Francesco Piccolo

Qoèlet (3, 1-8) - Per tutte le cose c'è un tempo fissato da Dio

1 Tutto ha il suo momento, e ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo.

2 C'è un tempo per nascere e un tempo per morire,

un tempo per piantare e un tempo per sradicare quel che si è piantato.

3 Un tempo per uccidere e un tempo per curare,

un tempo per demolire e un tempo per costruire.

4 Un tempo per piangere e un tempo per ridere,

un tempo per fare lutto e un tempo per danzare.

5 Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli,

un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci.

6 Un tempo per cercare e un tempo per perdere,

un tempo per conservare e un tempo per buttar via.

7 Un tempo per strappare e un tempo per cucire,

un tempo per tacere e un tempo per parlare.

8 Un tempo per amare e un tempo per odiare,

un tempo per la guerra e un tempo per la pace.


(Testo CEI2008)


giovedì, agosto 01, 2024

Il mattatore - Ring 1976

Un'intervista che fa emergere la grandezza di Vittorio Gassman.
Un passaggio che mi ha affascinato:
"Io cambio, capito, io cambio, in questo io sono un attore, non so se buono o cattivo, ma certamente io cambio pelle, cambio personaggi e ho cambiato molto spesso delle idee e, le dirò, che io diffido un po' degli attori che non le cambiano mai".

venerdì, luglio 26, 2024

Ultime lettere da Stalingrado - Einaudi

E' un libro fondamentale. In alcuni film o romanzi fatti bene si intravedono aspetti, immagini, sensazioni che qui sono descritte dal vivo e vivissime, nonostante il tempo passato, appaiono ancora.
Sono una selezione di 39 lettere (senza destinatario né mittente, censurati) che partirono con ultimo areo da Stalingrado assediata dai russi.
In totale erano due pacchi di lettere che furono sequestrate dalla censura nazista per comprendere lo stato d'animo dei combattenti.
Dall'analisi - e dalla classificazione che se ne fece - risultò che:
2,1% erano favorevoli alla condotta della guerra
4,4% erano dubbiosi
3,4% decisamente contrari
33% senza opinione precisa indifferenti
Come si dice nella quarta di copertina e nell'introduzione:
"Non si può aggiungere un'altra lettera a queste trentanove: esse, che sembrano contenere e rivelare ogni esperienza umana, costituiscono una perfetta unità morale."
Adesso proprio "ogni esperienza umana" è eccessivo, ma in effetti c'è tanto.
Paradossalmente, accanto alle lettere decisamente funeree di chi aveva consapevolezza che sarebbe a breve passato a miglior vita, mi hanno colpito 2-3 lettere in particolare che di vita vissuta ne contengono parecchia.
La XXIV è oggettivamente "divertente" laddove il soldato accusa la moglie di essere generosa ossia troppo generosa tant'è che s'era fatta l'amante e lui quindi vuole divorziare. Oppure quella in cui il soldato scrive alla moglie di salutare anche la sua amante, in un triangolo finalmente reso "pubblico" o quella in cui un altro soldato si compiace e si stupisce di aver visto un bel film, che avrebbe voluto vedere in patria, tra le macerie di Stalingrado, seduti sugli elmetti o a terra "come dei negri". Da leggere.
Lettera XXIV pagina 45
"...ora che so come stanno le cose, ti rendo la tua parola. Non mi è stato facile, ma i contrasti erano troppo forti. Cercavo una donna con un cuore generoso, ma non fino a questo punto! Ho già scritto anche alla mamma e le ho detto ciò che deve sapere. Risparmiami, ti prego, la pena di citarti i testimoni e le circostanze che mi hanno dato la prova della tua infedeltà. Non nutro alcun odio per te, ti consiglio però di sceglierti una motivazione adeguata e di far presto le pratiche! Ho scritto al dott. F... che sono d'accordo per il divorzio. Se tornerò a casa, di qui a sei mesi, non vorrei trovar più niente che mi ricordi di te. Intendo rinunciare alla mia licenza in febbraio o marzo."

martedì, maggio 14, 2024

Info WhatsApp

Passaggio di consegne.
Dopo diversi anni, l'autoironico:
"I pazzi sono dei soggetti perfetti, parlano e nessuno li ascolta."
Edward Daniels

Lascia il posto al mio film preferito
"Che hai fatto in tutti questi anni, Noodles?"
"Sono andato a letto presto."

giovedì, maggio 02, 2024

Speak No Evil

Ieri sera passaggio televisivo su RAI4 di un film del 2022, del regista danese Christian Tafdrup, che mi ha colpito. Il titolo si rifà alla Bibbia, alla Lettera a Tito: Tt 3, 1-7 Ricorda loro di essere sottomessi alle autorità che governano, di obbedire, di essere pronti per ogni opera buona; di non parlare male di nessuno, di evitare le liti, di essere mansueti, mostrando ogni mitezza verso tutti gli uomini. Nerissimo il finale ma che fa riflettere: - Perché ci fate tutto questo? - Perché ce lo avete permesso... La recensione su Mymovie più completa ed efficace è probabilmente quella di Shagrath




giovedì, marzo 28, 2024

I Testicoli di Hitler di Alain Libert, Victor Drossart Traduzione di Giada Pierin, Chiara Ponti

Un po' raffazzonato

Il titolo sopra le righe ci può stare anche, banalmente, per ragioni commerciali, ma già dalla prefazione si intuisce che l'opera non è di valore. Nella prefazione si ironizza stupidamente su alcuni aspetti come farebbero due adolescenti, gli autori vogliono fare, tentano di fare almeno, i "simpatici" ma l'argomento è invece serio e parecchio interessante.

La sensazione è che non sia stato sviluppato con sapienza per mancanza di capacità di scrittura e di visione in generale. In breve è una raccolta di episodi, persone, fatti che coinvolgono "Adi" sul piano sessuale con un raggruppamento per esperienze eterosessuali, omosessuali e perversioni (sadomasochistiche in primis) varie. Purtroppo gli autori hanno tirato su tutto con una rete a maglie strette, mentre sarebbe stato più opportuno una selezione e un approfondimento del discorso. Interessante l'interpretazione finale, ma sono poche pagine. Avrei optato per una scelta cronologica degli eventi più per quella proposta, in ogni caso a fine lettura un'idea io me la sono fatta ed è abbastanza vicina alla tesi finale degli autori, ma la lettura è stata faticosa anche per scelte di formattazione (le citazioni sono con un carattere minuscolo). Nonostante le tante pecche evidenziate il libro però lo consiglio perché è comunque ricco di tante informazioni che poi eventualmente uno può approfondire per i fatti propri ahimè non aiutato da una bibliografia adeguata, solo a fondo pagina vengono proposti qui e là una dozzina di titoli tre dei quali sicuramente voglio vedere:

 

1. L.Machtan, Il segreto di Hitler

(Rizzoli 2001, 394 pagine - NOTA: Disponibile SBAM);

2. W.C.Langer, La mente di Hitler

(Gingko Edizioni 2013, 272 pagine - NOTA: CELO in E-book)

3. D.Irving, I diari segreti del medico di Hitler

(Edizioni Clandestine 2007, 300 pagine - NOTA: Disponibile SBAM).

 

Citato anche il film su Eva Braun di Isabelle Clarke - Daniel Costelle (2007)

"La donna che amava Hitler" (Visto Aprile 2024: didascalico. Interessante per via delle immagini rare per il resto, montaggio e parte narrata, poca roba)

 

Ampi stralci disponibile, infine, del testo di Kubizek ("Il giovane Hitler che conobbi") che avevo sentito nominare e, avendo letto questi stralci, non leggerò quasi sicuramente, essendo memorie mi pare parecchio aggiustate, come del resto parecchie cose lette ne "I testicoli di Hitler" dove il gossip, alla fine, ha la meglio, ahimè, sulla parte saggistica.


martedì, febbraio 13, 2024

Come una rana d'inverno

Il sottotitolo di "Come una rana d'inverno" di Daniela Padoan è "Conversazioni con tre donne sopravvissute ad Auschwitz: Liliana Segre, Goti Bauer, Giuliana Tedeschi"...
sono infatti dialoghi, poco più di 200 pagine, ma con pagine restituite decisamente "dense".
Tre donne speciali che raccontano la loro storia. 
Segre precisa che lei non è brava "a scrivere" ed in effetti il suo intervento l'ho trovato qui molto 
più puntuale e preciso rispetto ad altri testi scritti direttamente da lei. Segre parla di Nedo Fiano e delle stesse Goti Bauer e Giuliana Tedeschi.

Molti anche i riferimenti che Liliana cita (altri che vengono citati da Padoan):

Elenco i principali:

- Liliana Picciotto, "Il libro della memoria", Mursia 1991
[L'elenco - 952 pagine - degli ebrei deportati dall'Italia. Disp. SBAM]

- AAVV, "Voci dalla Shoah", La nuova Italia 1995
[Disp. SBAM]

- Giuliana Tedeschi, "C'è un punto sulla terra...," , Giuntina 1995
[Disp. SBAM]

- Annette Wieviorka, "L'era del testimone", Cortina Raffaello 1999 
[Già letto e recensito: ottimo libro, fonte inesauribile di rimandi bibliografici. Disp. SBAM]

- Zygmunt Bauman, "Modernità e Olocausto", Il Mulino 1992
[mia Disponibilità]

- Georges Bensoussan, "L'eredità di Auschwitz. Come ricordare?", Einaudi 2014
[mia Disponibilità]

- Giuliana, Marisa e Gabriella Cardosi, "Sul confine", Silvio Zamorani editore 1998
[mia Disponibilità]

Goti Bauer cita invece il film "Memoria".
Oltre a ricordare Nedo Fiano, Liliana Segre, Settimia Spizzichino, Luciana Nissim, Lilli Kopecky e Suzi Gross unica donna ebrea diventata Kapò (processata dopo la guerra).

L'ultima intervistata è Giuliana Tedeschi che cita il suo libro "Questo povero corpo" (1946) [Disp. SBAM] e l'interessantissimo "Auschwitz e 'la menzogna su Auschwitz'" di Till Bastian [Disp. SBAM]. Poi ancora:

- Carole Angier (traduzione di V. Ricci), Il doppio legame. Vita di Primo Levi, Mondadori, 856 pagine, ottobre 2004 (in realtà vita la versione inglese, non essendo ancora stata tradotta all'epoca in italiano).  [Disp. SBAM]

- Elie Wiesel, La notte, Giuntina 1980
[Letto, mia Disponibilità]

- AAVV, La deportazione femminile, Convegno internazionale. Torino, 20-21 ottobre 1994, Franco Angeli, Consiglio reg. Piemonte, ANED
[mia Disponibilità]

- Imre Kertész, Kaddish per il bambino non nato, Feltrinelli 2006
[Disp. SBAM]

- Imre Kertész, Essere senza destino, Feltrinelli 1999 
[mia Disponibilità]

Nella postfazione l'autrice, Daniela Padoan oltre ad altre deportate quali Ruth Klüger, Helen Lewis, Edith Bruck, Margarete Buber-Neumann, Liliana Millu, cita (oltre ad alcuni testi di Levi):
- Rudolf Hoss, Comandante ad Auschwitz, Einaudi 1960
[Letto, mia Disponibilità]

- A cura di Dalia Ofer, Lenore J. Weitzman, Donne nell'Olocausto, Le lettere, Firenze 2001
[Disp. SBAM]

-  Ruth Klüger, Vivere ancora, Einaudi, Torino 1995
[Disp. SBAM]

- Liana Millu, Il fumo di Birkenau, Giuntina, Firenze 2001
[Disp. SBAM]

- Charlotte Delbo, Un treno senza ritorno, Piemme 2002
[Disp. SBAM]

-  Margarete Buber-Neumann, Milena l'amica di Kafka, Adelphi, Milano 1999
[Disp. SBAM]

- Tzvetan Todorov, Di fronte all'estremo, Garzanti 1992
[Disp. SBAM]

- Elie Wiesel, Parole di straniero, Spirali, Milano 1986
[Disp. SBAM]

-  Jean Amery, Intellettuale ad Auschwitz, Bollati Boringhieri, Torino 1987
[Disp. SBAM San Maurizio C.se]

- Robert Antelme, La specie umana, Einaudi, Torino 1969
[mia Disponibilità]

- Jorge Semprun, Il grande viaggio, Einaudi, Torino 1964
[mia Disponibilità]

- Lidia Beccaria Rolfi, L'esile filo della memoria, Einaudi, Torino 1996
[Disp. SBAM]

- Elisa Springer, L'eco del silenzio, Marsilio, Venezia 2003
[mia Disponibilità]

- Elisa Springer, Il silenzio dei vivi, Marsilio, Venezia 1997
[mia Disponibilità]

- Edith Bruck, Signora Auschwitz, La nave di Teso, Milano 2023
[Disp. SBAM]

- Jacques Derrida, L'istante della mia morte, in rivista "aut-aut", 267-268, maggio-agosto 1995 p. 43

- Articolo di Elena Loewenthal, La forza della memoria, "La Stampa", 25 gennaio 2002 

- Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Einaudi, Torino 2004 (710 pagine)
[Disp. SBAM]

- Hermann Langbein, Uomini ad Auschwitz, Mursia, Milano 1984
[mia Disponibilità]

- a cura di M. Cling e Y. Thanassekos, Atti dell'incontro audiovisivo internazionale sulla testimonianza dei sopravvissuti dei campi di concentramento e di sterminio nazisti, Fondation Auschwitz e Fondation pour la Mémoire de la Déportation, Bruxelles-Paris 1995

- Federica Sossi, Nel crepaccio del tempo. Testimoniare la Shoah, Marcos y Marcos, Milano 1997

Cercando in rete altre informazioni ho trovato quest'opera che non conoscevo: "Il dovere della parola" di cui propongo il link che rende disponibili anche i video delle interviste: https://fondazionelivorno.it/il-dovere-della-parola-la-shoah-nelle-testimonianze-di-liliana-segre-e-di-goti-herskovitz-bauer/ 

venerdì, febbraio 09, 2024

Foibe - Il RIcordo

 Ieri sera, al Teatro Concordia, la sala doveva essere quasi piena, almeno a guardare la disponibilità di posti online, in realtà eravamo in quattro gatti tant'è che, dal mio posto 9 in Fila F,  mi sono poi collocato proprio sotto al palco. Sanremo ha inciso, ahimè, pesantemente...

Lo spettacolo "Foibe - Il Ricordo" di e con Anna Tringali e Giacomo Rossetto è notevole e merita di essere visto, riesce infatti, con una lettura alternata di testimonianze di parte italiana e slava, a ricomporre e a far comprendere, almeno in parte, quanto accaduto tra la fine della prima guerra mondiale e, mi verrebbe da dire, inizio anni 2000 con la creazione del memoriale di Basovizza. 

La bravura degli interpreti ha emozionato la sala che ha seguito ogni parola con un silenzio perfetto.

Ringrazio qui Anna e Giacomo, non essendo riuscito a farlo di persona.


"Le cose umane" di Karine Tuil - La combo

Dopo aver visto il film "L'accusa" (Regia di Yvan Attal) ho deciso di leggere il libro "Le cose umane".

Il film è una fedelissima trasposizione del libro, quindi grandi meriti per Karine Tuil, l'autrice, per due opere che mi sono piaciute molto.

La sintesi? Come uno stesso evento - drammatico in questo caso - può essere visto, interpretato, raccontato, vissuto in modi diversi, radicalmente diversi.
Quest'incertezza è più enfatizzata nel film, a dire il vero.

Questo il finale:
"Era nell'ordine delle cose. Si nasceva, si moriva. Tra l'alfa e l'omega, con un po' di fortuna, si amava, si era amati. La cosa non durava, prima o poi si finiva con l'essere sostituiti. Non c'era da ribellarsi, era il corso invariabile delle cose umane."

Karine Tuil, Le cose umane, traduzione di Fabrizio Ascari, La nave di Teseo, Settembre 2021

mercoledì, gennaio 31, 2024

Il discorso di Liliana Segre - 30 gennaio 2024

Testo integrale del discorso pronunciato da Liliana Segre il 30 gennaio 2024 al Memoriale nel corso della cerimonia organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio in memoria della deportazione da Milano:
 

Lo scorso 27 gennaio sono successe cose che mi hanno lasciato sgomenta. Io non penso proprio di dover rispondere, di dovermi discolpare in quanto ebrea, di quello che fa lo Stato di Israele. Trovo sbagliato mescolare cose completamente diverse, come hanno fatto tanti che hanno pensato di mettere in discussione il 27 gennaio per quello che sta succedendo a Gaza. Evidentemente hanno un bisogno spasmodico di fare pari e patta con la Shoah, di togliere agli ebrei il ruolo di vittime per antonomasia, di liberarsi da un inconscio complesso di colpa.
Questo fenomeno segnala anche un fallimento educativo: in questi più di vent’anni dall’approvazione della legge, sembra che qualcuno abbia scambiato il giorno della Memoria per una specie di regalo fatto agli ebrei. Un regalo da revocare se gli ebrei si comportano male. Ma allora siamo davanti a una catastrofe culturale. Il 27 gennaio non è fatto per gli ebrei. Gli ebrei hanno 365 giorni della memoria all’anno, non gli serve il 27 di gennaio. Il 27 gennaio serve per ricordare agli europei un crimine europeo e agli italiani, purtroppo, un crimine anche italiano.
A questo proposito, dato che si è giustamente parlato di male assoluto, penso che occorra riflettere sul fatto che non si arriva così, un giorno per caso, a un assoluto. Ci si arriva attraverso un lungo percorso nel quale ogni passaggio è funzionale a rendere possibile, a rendere accettato, a rendere addirittura condiviso da molti, quel male. La partenza del convoglio del 30 gennaio 1944 è, in altri termini, un punto di arrivo. Perché si può giungere a questo solo se, guardando a ritroso, si sono percorse tutte le tappe precedenti: la partecipazione alla guerra al fianco di Hitler, prima la campagna razziale, le leggi razziste, e prima l’avventura coloniale per sottomettere popoli giudicati inferiori; prima ancora l’abolizione di ogni spirito critico attraverso la propaganda di regime, prima l’abolizione della libertà della stampa, l’abolizione dei partiti, l’eliminazione di ogni opposizione, l’instaurazione di un potere assoluto senza né controlli né bilanciamenti. Condannare il male assoluto senza condannare la catena che lo ha reso possibile non avrebbe senso.
Ma da qui, dal binario 21 della stazione Centrale di Milano che oggi è il memoriale della Shoah, i convogli che partivano, partivano e arrivavano dove c’era il male assoluto. Ancora oggi invece i negazionisti tendono a confrontarsi con le nostre testimonianze e a giudicarle non per i sentimenti, per i lutti, per le tragedie che avevamo vissuto; ma cogliendo nel ricordo, magari un pochino confuso, di fatti più grandi di noi, la data, il numero delle persone quel giorno andate al gas, dettagli che li rendevano felici e sicuri di poter negare ciò che questo posto testimonia. Questo posto, però, parla da solo: i ragazzi che vengono a visitarlo non possono dimenticare il male assoluto. Anche se travolti da una realtà che li distrae – e che a volte non fa scegliere loro la cultura – il loro futuro è nelle loro mani. E se non sceglieranno la cultura, se non sceglieranno di leggere, leggere, leggere tutti i pareri e tutte le testimonianze, non solo della Shoah, non potranno diventare quelle persone colte che pensano con la loro testa, che sanno fare le loro scelte, che non sceglieranno mai un totalitarismo dove una persona sola decide che cosa penseranno tutti.
Saranno i nuovi italiani. Saranno quelli che andranno a votare – mentre il 40% come sappiamo – non vota. Saranno quelli che saranno in grado di dire veramente di un luogo come questo: «Mai più». Altrimenti saranno, purtroppo per loro, degli indifferenti. È una nonna che parla, una nonna che per fortuna ha dei nipoti e che spera anche di poter arrivare a vedere dei pronipoti. Una nonna che finora ha molto sperato nel futuro, mentre questo periodo così triste così, pericoloso per tutti, così violento negli atti di tutti i giorni a prescindere dalle guerre e con le guerre, mi fa pensare – e purtroppo lo dico tante volte – di essere vissuta invano.
Io spero che il futuro faccia sì che si dica quella vecchia lì la pensava in un modo, ma invece sbagliava. Io spero ardentemente di sbagliare.

Fonte: https://www.memorialeshoah.it/notizia/il-discorso-di-liliana-segre-30-gennaio-2024/ 

sabato, gennaio 20, 2024

Arbeit Macht Frei di Primo Levi

Come è noto, erano queste le parole che si leggevano sul cancello di ingresso nel Lager di Auschwitz. Il loro significato letterale è «il lavoro rende liberi»; il loro significato ultimo è assai meno chiaro, non può che lasciare perplessi, e si presta ad alcune considerazioni.

Il Lager di Auschwitz era stato creato piuttosto tardi; era stato concepito fin dall’inizio come campo di sterminio, non come campo di lavoro. Divenne campo di lavoro solo verso il 1943, e soltanto in misura parziale ed in modo accessorio; e quindi credo da escludersi che quella frase, nell’intento di chi la dettò, dovesse venire intesa nel suo senso piano e nel suo ovvio valore proverbiale-morale.

È più probabile che avesse significato ironico: che scaturisse da quella vena di umorismo pesante, protervo, funereo, di cui i tedeschi hanno il segreto, e che solo in tedesco ha un nome. Tradotta in linguaggio esplicito, essa, a quanto pare, avrebbe dovuto suonare press’a poco così:

«Il lavoro è umiliazione e sofferenza, e si addice non a noi, Herrenvolk, popolo di signori e di eroi, ma a voi, nemici del terzo Reich. La libertà che vi aspetta è la morte».

In realtà, e nonostante alcune contrarie apparenze, il disconoscimento, il vilipendio del valore morale del lavoro era ed è essenziale al mito fascista in tutte le sue forme. Sotto ogni militarismo, colonialismo, corporativismo sta la volontà precisa, da parte di una classe, di sfruttare il lavoro altrui, e ad un tempo di negargli ogni valore umano. Questa volontà appare già chiara nell’aspetto antioperaio che il fascismo italiano assume fin dai primi anni, e va affermandosi con sempre maggior precisione nella evoluzione del fascismo nella sua versione tedesca, fino alle massicce deportazioni in Germania di lavoratori provenienti da tutti i paesi occupati, ma trova il suo coronamento, ed insieme la sua riduzione all’assurdo, nell’universo concentrazionario.

Allo stesso scopo tende l’esaltazione della violenza, essa pure essenziale al fascismo: il manganello, che presto assurge a valore simbolico, è lo strumento con cui si stimolano al lavoro gli animali da soma e da traino.

Il carattere sperimentale dei Lager è oggi evidente, e suscita un intenso orrore retrospettivo. Oggi sappiamo che i Lager tedeschi, sia quelli di lavoro che quelli di sterminio, non erano, per così dire, un sottoprodotto di condizioni nazionali di emergenza (la rivoluzione nazista prima, la guerra poi); non erano una triste necessità transitoria, bensì i primi, precoci germogli dell’Ordine Nuovo. Nell’Ordine Nuovo, alcune razze umane (ebrei, zingari) sarebbero state spente; altre ad esempio gli slavi in genere ed i russi in specie sarebbero state asservite e sottoposte ad un regime di degradazione biologica accuratamente studiato, onde trasformarne gli individui in buoni animali da fatica, analfabeti, privi di qualsiasi iniziativa, incapaci di ribellione e di critica.

I Lager furono dunque, in sostanza «impianti piloti» anticipazioni del futuro assegnato all’Europa nei piani nazisti. Alla luce di queste considerazioni, frasi come quella di Auschwitz, «Il lavoro rende liberi», o come quella di Buchenwald, «Ad ognuno il suo», assumono un significato preciso e sinistro. Sono, a loro volta, anticipazioni delle nuove tavole della Legge, dettata dal padrone allo schiavo, e valida solo per quest’ultimo.

Se il fascismo avesse prevalso, l’Europa intera si sarebbe trasformata in un complesso sistema di campi di lavoro forzato e di sterminio, e quelle parole, cinicamente edificanti, si sarebbero lette sulla porta di ingresso di tutte le officine e di tutti i cantieri.

Tratto dalla rivista «Triangolo Rosso», Aned, novembre 1959

Cfr.: https://www.primolevi.it/it/arbeit-macht-frei

martedì, gennaio 16, 2024

'L "Grande Torino"

Côme ‘na storia, quasi. Scôtè: “’Na volta j’era

‘na squadra turineisa, ‘na squadra forta e fiera.

A la piegavô an pochi, përchè l’era d’assel,

a la spôntavô nen: l’ha mach pôdôlu ‘l cel!


E chíel ch’a lô savìa, a l’era grev côl dì

ëd lacrime pesante. Le nivôle sôn lì

a pochi pass da tera…e lôr vôlavô pian,

pôntavô su Turin, tôrnavô da lôntan…


Superga, su ‘n côliña, cha speta, grisa, fërma,

tërmôla sôta ‘n côlp,  ‘nt le nivôle së stërma…

A veul nen feje ‘d mal, no, no, veul nen tradìe:

stí fíeuj l’han tanta fiusa, sôn lì…l’a deuv rapìe.


Quaidun pì ‘nnsù che nôi a l’ha vôrssù côsì.

A l’ha fôrgiaje prima, samblaje s-ciass, unì

sti unich giugadôr ant una sôla morssa,

dë spirit generôs, scatant: ‘na sôla forssa.


Un “foot-ball”, ôndes fìeuj an maja granatôn

e singh scudet ëd fila. Da meuire d’emôssiôn!


Për nen dësperdie ‘nt j’ani côn ël passè ‘d l’età

l’ha dëstissaie ‘nssema, l’ha piaje ‘nt ‘ns brassà.


El cheur dël vej Turin l’è fulminà: ‘na sort

parìa l’è mach un seugn…l’a lôr sôn tuti mort!

A sfilô për le strà a spale: i giugadôr

ch’ai portô a marciô e piôrô, frustà da tant dôlôr.


An testa la bandiera: ‘nt ël rôss a rampía ‘l Tor

lusent, a rendio ômagi, ant i so ricam d’or.

E peui Turin, Turin, tuta Turin l’è lì

Ch’a prega ‘nginôjà, përchè peul nen fè ‘d pì


E lôr adess lassù? ‘Nt gir ëd fantasìe

j’anmaginôma a gieughe dë splendide partìe:

s’a guardô la côliña da ‘dôva l’han pià ‘l vol

a mandô giù ‘n basin e peui a tirô “goal”!”


Côme ‘na storia, quasi, un seugn:”’Na volta j’era 

‘na squadra d’invincibii, ‘na squadra forta e fiera.


Concetta Prioli

Poetëssa an lenga piemontèisa. 

Nassùa a j'8 dë dzèmber 1919, mòrta ai 16 dë stèmber 1990.

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Traduzione:

Il "Grande Torino"

Come una favola, quasi. Ascoltate: "C'era una volta 
una squadra torinese, una squadra forte e fiera.
La piegavano in pochi, perchè era d'acciaio,
non la spuntavano: solo il cielo l'ha potuto fare!

Per lui - il Cielo - che lo sapeva, quel giorno era difficile
di lacrime pesante. Le nuvole sono lì
a pochi passi dalla terra e loro volano piano,
puntavano su Torino, tornavano da lontano...

Superga, sulla collina, aspetta, grigia, ferma,
trema sotto il colpo, si nasconde tra le nuvole
Non vuole fargli male, no, no, non vuole tradirli:
questi ragazzi hanno tanta fiducia, sono lì...

Qualcuno più in alto di noi ha voluto così.
Li ha forgiati prima, stretti insieme, uniti
questi giocatori unici in una sola morsa,
di spirito generoso, scattanti: una forza unica.

Un "Football", undici ragazzi in maglia granata
e cinque scudetti di fila. Da morire dall'emozione!

Per non separarli nel corso degli anni con il passare del tempo
li ha spenti insieme, li ha presi tra le sue braccia

Il cuore del vecchio Torino si è fulminato: la sorte
sembrava solo un sogno...là loro sono morti tutti!
Sfilano per le strade sulle spalle: i giocatori
che portano le salme, camminano e piangono, sferzati da tanto dolore.

Alla testa la bandiera: nello sfondo rosso scalpita il Toro
lucente, a rendergli omaggio, con i suoi ricami d'oro.
E poi Torino, Torino, tutta Torino è lì
CHe prega inginocchiata, perchè di pi non può fare

E loro adesso lassù? Nella fantasia
già li immaginiamo a giocare spledide partite:
ci guardano dalla collina da dove hanno preso il volo
e ci mandano bacini e poi tirano e fanno "goal"!

Come una favola, quasi, un sogno: C'era una volta
una squadra di Invincibili, una squadra forte e fiera.

Così, all'improvviso

Ieri sera, poco prima di cenare, Vittorio (9 anni) ha chiesto a suo zio:

"Sai qual è il problema più grande della vita?"
"Qual è?"
"La vita..."