martedì, ottobre 09, 2012

bella novità!

non so da quando ma finalmente su http://www.libreriauniversitaria.it/ sono visibili le recensioni dei libri fatte dai lettori.
fino ad oggi per acquisto di un libro mi basavo su IBS (poche recensioni ma attendibili) e/o anobii (troppe, troppo lunghe e spesso autoreferenziali)...che abbia trovato la terza via?
 Noto prerò "troppe" recensioni positive indipendentemente dal testo selezionato...male male! 

Come si fa a non stroncare "Il profumo delle foglie di limone"?
confronta recensioni:
libreriauniversitaria.it
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anobii

The “busy” trap

"Se vivete negli Stati Uniti del ventunesimo secolo, avrete già sentito un sacco di gente dirvi che ha da fare. È diventata la risposta standard ogni volta che chiedi a qualcuno come va: “Ho da fare”, “Ho un gran da fare.” “Ho troppo da fare.” È chiaramente un’ostentazione mascherata da lamentela. In realtà significa
“Mica male come problema”, oppure “Meglio del contrario”. Fateci caso: di solito chi si lamenta del troppo da fare non è gente che fa mucchi di turni in reparto di terapia intensiva o fa la spola fra tre impieghi a salario minimo. Quelli non hanno troppo da fare: quelli sono stanchi. Sfiniti. Non stanno in piedi. No, a farlo sono quasi sempre delle persone che tutto il loro da fare, molto semplicemente, se lo impongono: si tratta sempre di lavori e di obblighi che hanno assunto volontariamente, di corsi e attività a cui i figli partecipano dopo essere stati “incoraggiati” a farlo.

Sono indaffarati a causa della loro stessa ambizione, del loro slancio o dell’ansia, perché sono dipendenti dall’iperattività e terrorizzati da ciò che dovrebbero fronteggiare in sua assenza. Quasi tutti quelli che conosco sono straindaffarati. Quando non lavorano, o non fanno qualcosa per promuovere il loro lavoro, provano ansia e senso di colpa.

Infilano nelle loro tabelle di marcia il tempo con gli amici, come certi studenti con la media bassa fanno in modo di mettere in curriculum qualche ora di lavori socialmente utili perché fa bella figura sulle domande per l’università.

Qualche giorno fa ho scritto a un amico chiedendogli se questa settimana gli andava di fare qualcosa. Mi ha risposto che non aveva molto tempo, ma se saltava fuori qualcosa di farglielo sapere, che magari si prendeva qualche ora dal lavoro. Ho avuto la tentazione di specificargli che la mia domanda non era un preavviso in vista di un futuro invito: la mia domanda era l’invito. Ma il suo da fare era come un fortissimo rumore continuo al di sopra del quale lui mi gridava le cose, e alla fine ho rinunciato a strillare per farmi sentire a mia volta.

Perfino i bambini, oggi, hanno sempre da fare, con giornate organizzate fin nelle mezz’ore, tra corsi e attività extrascolastiche. Arrivano a casa a fine giornata stanchi come gli adulti.Io appartengo a una generazione di mezzo, e ogni pomeriggio avevo tre ore di tempo totalmente disorganizzato e quasi sempre libero da controlli che usavo per fare qualsiasi cosa: sfogliare l’enciclopedia, creare filmini d’animazione, girare con gli amici per i boschi

lanciandosi zolle di terra negli occhi, tutte cose dalle quali ho ricavato capacità e informazioni importanti, che ancora oggi rimangono preziose. Quelle ore di libertà sono diventate il modello di come avrei voluto vivere il resto della mia vita. L’isteria di oggi non è una condizione della vita necessaria né inevitabile. È una cosa che ci siamo scelti, anche solo accettandola.

Qualche tempo fa ho parlato su Skype con un’amica che ha lasciato la città per gli affitti troppo alti, e che adesso vive in una residenza per artisti in un paesino nel sud della Francia. Dice di essere felice e rilassata per la prima volta dopo anni. Lavora, sia chiaro, ma il lavoro non le consuma l’intera giornata e il cervello. Dice che le sembra di essere tornata all’università: ha un giro di amici che si ritrovano al bar tutte le sere. Ha di nuovo un fidanzato (una volta mi aveva così riassunto, con mestizia, la questione delle relazioni a New York: “Hanno tutti troppo da fare e credono tutti di poter fare di più”). Lei credeva che la sua personalità – frenetica, nervosa, ansiosa e triste – fosse l’effetto di una deformazione imposta dall’ambiente. Ma nessuno di noi vuole vivere in questo modo, non più di quanto uno voglia trovarsi in un ingorgo stradale o farsi calpestare dalla folla di uno stadio, o subire i crudeli responsabili delle scuole superiori: è una cosa che ci costringiamo a fare collettivamente e vicendevolmente.

Essere indaffarati funziona come una sorta di rassicurazione esistenziale, di barriera contro il senso di vuoto: è chiaro che la nostra vita non può essere insulsa o banale o priva di senso se siamo sempre così indaffarati, pieni di impegni, richiesti a ogni ora del giorno.

Una volta conoscevo una ragazza che faceva uno stage nella redazione di una rivista. Durante la pausa pranzo non le permettevano di uscire, nel caso avessero avuto urgente bisogno di lei. Parliamo di una rivista di programmi televisivi, la cui esistenza è diventata inutile nell’istante in cui sui telecomandi è comparso il tasto “menù”, ed è quindi difficile interpretare una simile pretesa di indispensabilità come qualcosa di più di una forma di autoinganno istituzionalizzato.

Oggi, un numero crescente di persone non fa più nulla di tangibile.

Forse tutto questo nostro istrionico sfinimento è solo un modo per dissimulare il fatto che controlli che quel che facciamo, in buona parte, non ha la minima importanza.

Io non sono indaffarato. Sono l’ambizioso più pigro che conosco.

Come molti di quelli che scrivono, anch’io sento di non meritare di vivere quando per un giorno non scrivo, ma penso anche che quattro o cinque ore siano sufficienti per guadagnarmi un altro giorno di permanenza sul pianeta.

Nelle migliori giornate normali della mia vita, al mattino scrivo, al pomeriggio vado a fare un lungo giro in bicicletta e le commissioni, e alla sera vedo gli amici, leggo o guardo un film.

A me questo sembra un ritmo sano e piacevole. E se mi chiamate chiedendomi se ho voglia di lasciar perdere il lavoro e andare a visitare la nuova ala americana del Metropolitan, o a guardare le ragazze a Central Park, o semplicemente a bere cocktail rosa con un retrogusto di menta per tutto il giorno, io vi risponderò: “a che ora?”.

Negli ultimi mesi, però, a causa di una serie di obblighi professionali ho pericolosamente cominciato a essere indaffarato anch’io.

Per la prima volta ho potuto dire agli altri, e senza mettermi a ridere, che avevo “troppo da fare” per andare in un certo posto o fare quello che mi si chiedeva. E ho capito perché alla gente questo tipo di lamentela piace: ti fa sentire importante, richiesto e sfruttato.

Solo che io detesto essere indaffarato davvero. Ogni mattina avevo la posta piena di email in cui mi si chiedeva di fare cose che non volevo fare o mi si presentavano problemi che dovevo risolvere. la situazione si è fatta sempre più insopportabile, fino a quando un giorno sono fuggito nella località segreta da cui vi scrivo.

Qui di obblighi quasi non ne esistono. Non c’è la televisione. Per controllare la posta elettronica devo prendere la macchina e andare in biblioteca. Passo anche una settimana intera senza vedere nessuno che conosco. Mi sono ricordato dell’esistenza dei ranuncoli, delle cimici e delle stelle. Leggo. E mi sono rimesso a scrivere sul serio per la prima volta dopo mesi.

È difficile trovare qualcosa da dire sulla vita se non ci si immerge nel mondo, ma è altrettanto impossibile capire di cosa potrebbe trattarsi, o come meglio dirlo, se poi non si fugge.

L’ozio non è solo una vacanza, un’indulgenza o un vizio: è indispensabile al cervello come la vitamina D al corpo, e in sua assenza viviamo una sofferenza mentale deformante come il rachitismo.Lo spazio e il silenzio offerti dall’ozio sono una condizione necessaria per fare un passo indietro e osservare la vita nella sua interezza, effettuare connessioni inaspettate e attendere il repentino lampo estivo dell’ispirazione. Paradossalmente, è necessario se si vuole combinare qualcosa. “L’indolente sognare è spesso l’essenza di ciò che facciamo”, scriveva Thomas Pynchon nel suo saggio sull’accidia. L’eureka di Archimede nella vasca da bagno, la mela di Newton, Jekyll e Hyde: la storia è piena di aneddoti in cui l’ispirazione arriva nei momenti di ozio e in sogno.

Viene quasi da chiedersi se le più grandi idee, invenzioni e capolavori non sono merito dei fannulloni, perdigiorno e scansafatiche più che degli stacanovisti.

“L’obiettivo del futuro è la piena disoccupazione, così che tutti possano giocare. Ecco perché è necessario distruggere l’attuale sistema politico-economico”. Può sembrare il proclama di un anarchico armato di canne, ma in realtà sono parole di Arthur C. Clarke, che tra un’immersione in mare e una partita a flipper trovò il tempo di scrivere Le guide del tramonto e concepire i satelliti per le telecomunicazioni.

Il mio vecchio collega Ted Rall ha da poco scritto un editoriale in cui propone di separare il reddito dal lavoro, dando a tutti i cittadini uno stipendio garantito, il che suona esattamente come il genere di idea assurda che tra un secolo verrà considerata un diritto umano fondamentale, come l’abolizione della schiavitù, il suffragio universale e la giornata lavorativa di otto ore.

Furono i puritani a trasformare il lavoro in virtù, evidentemente scordandosi che Dio l’aveva inventato come punizione.

Forse il mondo andrebbe rapidamente a rotoli se tutti si comportassero come me. Ma mi sento di ipotizzare che una vita umana ideale si collochi da qualche parte tra la mia proterva indolenza e il corri corri frenetico del resto del mondo.

Il mio ruolo è semplicemente quello di cattivo esempio: sono il ragazzino che fuori dalla finestra dell’aula fa le smorfie a te seduto al banco, invitandoti, solo per stavolta, a inventare una scusa e venire qui fuori a giocare.

Nel mio caso, quest’incrollabile indolenza è più un lusso che una virtù, ma è vero che ho preso la decisione, molto tempo fa, di privilegiare il tempo rispetto al denaro, perché ho sempre avuto chiaro che il miglior modo d’investire il mio tempo limitato sulla terra è trascorrerlo con le persone che amo.

È possibile che sul letto di morte io mi penta di tutto il lavoro non fatto, e di non aver detto tutto quello che avevo da dire, ma in realtà penso che il mio vero rimpianto sarà quello di non potermi più fare un’altra birra con Chris, un’altra lunga chiacchierata con Megan, o un’ultima grassa risata con Boyd.

La vita è troppo breve per darsi davvero da fare". - mc

TIM KREIDER è un giornalista e fumettista statunitense. Questo articolo è uscito sul New York Times con il titolo The “busy” trap.

tratto da:
Internazionale n. 959

Elementare, Watson!

al centro...

un passo indietro

Silvio, l'Italia ti chiede di fare un passo indietro...

mercoledì, ottobre 03, 2012

Amore, rete e stati uniti

Anobii - che Dio lo benedica - tra i suoi tanti meriti "diretti" ne ha anche un altro "indiretto", ti permette di riflettere.
attività che in effetti già svolgevo,
ma che è stata potenziata con i dati reperiti dal sito, dati che posso analizzare da punti di vista diversi dal solito.
l'opera immane che ho iniziato da un po', il caricamento di tutti i miei libri cartacei (...a caricare quelli digitali ho rinunciato non potendo utilizzare il caricamento massivo previsto), mi ha aperto nuovi scenari interpretativi.

purtroppo le ultime versioni della APP anobii per smartphone sono decisamente peggiorative rispetto alle precedenti: non si hanno dati attendibili sullo stato della propria libreria e non si leggono, benché esistenti, le recensioni degli altri lettori.

riflettendo, la cosa curiosa, benché banalmente fisiologica, che mi è saltata all'occhio è il cambiamento di gusti e di letture nel corso degli ultimi vent'anni (o meglio 25).
l'evento più rilevante è la scoperta degli americani (i viaggi negli USA hanno aiutato, indubbiamente).
Un tempo bistrattati, un po' per ideologia un po', credo, per influenza del classico che i classici nostrani inevitabilmente spinge.

E poi ci sono i gusti personali...ma quanto tempo perso dietro a letture che oggi mi paiono così inutili!!!
Prendi in mano un libro improbabile per caricarlo su anobii e ti rendi conto, dalla personale codifica vergata a mano sul volume, che l'hai letto!
Non te lo ricordi più...e mai diresti di essertelo sorbito.

Adesso il tempo è poco per leggere e mi coglie l'ansia di non riuscire a "scandagliare" tante opere che meriterebbero letture e riletture.
voglio essere esodato!
e dedicarmi solo più a colmare questa lacuna e, in primis, ad amare la mia bimba.

ieri pomeriggio ero intento nella solita caccia al tesoro - il reperire libri fuori catalogo di autori che amo cercandoli nei mercatini dell'usato - ed ho osservato una scena che spero di poter vivere tra qualche anno: padre e figlio adolescente intenti nella mia stessa, al momento solitaria, operazione di ricerca.

alla mia bimba vorrei regalare questa passione unitamente all'imprescindibile amore per il toro...un modo quest'ultimo per sperare di poterla legare - con un filo più o meno esile e non certo in modo oppressivo o malsano - a me, per sempre. Fra cinquant'anni sentirla e dirle: "Gio', hai visto come abbiam giocato bene ieri?"

inutile nasconderlo

dopo 3 giorni da atalanta-torino (1-5) sono ancora qui che godo.

che bambinone...

lunedì, ottobre 01, 2012

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Mi fanno quasi tenerezza questi truffatori maldestri.
Riescono, in sole tre righe, a rivolgersi al sottoscritto utilizzando il "voi", il "lei" e il "tu".
Ecchecazzo! Un po' di coernza!