mercoledì, settembre 30, 2009

terra madre

ieri ho partecipato alla serata al taurus di ciriè organizzata dall'amministrazione comunale ciriacese, in collaborazione con la Condotta Slow Food di Ciriè e Valli di Lanzo.
è stato proiettato il documentario di ermanno olmi terra madre e a seguire è intervenuto carlo petrini, presidente di slow food.



il film mi è piaciuto moltissimo per la sua sceneggiatura.
la mezz'ora finale ha seguito il ciclo della natura secondo il ritmo del contadino che prepara il terreno, semina, aspetta e, infine, raccoglie il prodotto. petrini poi sottolinea la valenza politica della denuncia implicita in questo gesto: le multinazionali controllano ad oggi l'80% del mercato delle sementi e con i prodotti geneticamente modificati non sarà più possibile ripetere il gesto visto nel filmato.
non potrò più con un seme avere nuovamente il mio prodotto di partenza.
petrini raccoglie consensi dal pubblico essendo bravo ad andare a prevenire le obiezioni di spettatori, evidentemente, con conoscenze e posizioni diverse. riesce a parlare, cosa più semplice, al tipo "peace&love" (tipo macchietta di verdone), ma anche all'anziano (in piemontese) o al tizio che ha subito a noia il pippone ecologista o, cinico, si annoia subito quando sente troppi inviti alla "fratellanza" (parlo del sottoscritto ovviamente).
non che sia un valore che non apprezzo, ma credo che sia un tema da toccare con un certo...tatto.
petrini, come dicevo, da buon piemontese (esageruma nen), è stato efficace e accanto alle immagini buocoliche è andato a citare quei dati che il cinico ama sentire. produciamo cibo per 12 miliardi di persone quando siamo solo 6 miliardi e 1 miliardo non mangia proprio!
Olmi ci invita ripartire dall'analisi logica, ci dice carlin.
e spiega: soggetto, predicato (verbale) e complemento oggetto ossia "noi mangiamo cibo".
adesso, la tesi di carlin e del movimento, è il cibo che mangia noi.
gli allevamenti intensivi di animali destinati alla macellazione inquinano più delle industrie, lo sfruttamento intensivo delle terre a fini di produzione impoverisce il terreno, un quintale di grano rende al contadino 10 euro...
da qui le risposte, sintetizzando, di una gestione più oculata delle risorse (abituarsi ad un consumo inferiore e non parlare di rilancio dei consumi per risollevare l'economia), contatto diretto tra produttori e consumatori ecc
petrini chiama quindi in causa la politica, evidenziando come sia la destra che la sinistra nonha in agenda questi temi.
in sala è presente anche il sindaco brizio che annuisce.

petrini non si risparmia e parla a braccio per circa un'ora.
poi tutti...a mangiare!
ovviamente petrini disinnesca subito l'aspetto paradossale: prima parliamo di fame nel mondo e poi andiamo a sfondarci di cibo.
il cibo proposto infatti è, per le focacce ad esempio, prodotto in loco, ergo a "km zero" e i formaggi proposti non costituiscono un pasto loculliano ma sono una selezione nel rispetto della bio-diversità.
sinceramente mi perdo, sono ormai le 22.30 di sera, lo spiegone sulle particolarità del formaggio polacco proposto (sicuramente non a km zero, in questo caso) assalito dai morsi della fame mi getto all'assalto del mio piatto accompagnato da un buon e robusto vino piemontese.



non sono certo di volervi invitare all'assaggio del formaggio polacco...ma il film è assolutamente da vedere
e l'edizione di terra madre del 2010 sicuramente da appoggiare, come hanno fatto i partecipanti alla serata con una offerta libera (era vivamente consigliato di fare una offerta minima di 10 euro...).

lunedì, settembre 28, 2009

Grande Torino

l'altra sera una giornalista rai (rai tre) che presentava un servizio su un torneo giovanile è riuscita a dire "baligalupo" al posto di "Bacigalupo".
cosa fare? ucciderla?
no, non si può. licenziarla? bah...
aiutiamola a colmare la sua ignoranza.
sul "Corriere della sera" Montanelli scrisse il 7 maggio del '49 queste righe sulla squadra di calcio del Torino, già "Grande" ma reso immortale dalla tragedia di Superga.

Oggi, affacciandomi alla finestra, non ho visto giocare a calcio i ragazzini in piazza San Marco, sulla quale guarda la mia casa, tra i resti delle bancarelle che vi tengono mercato il lunedì e il giovedì. In genere, ce n'è una nuvolaglia, affaccendati a correre dietro palle, di tutte le categorie e di tutte le età: scolari delle scuole medie con la cartella dei libri abbandonata in un angolo e le dita macchiate d'inchiostro, garzoni di fabbro con la tuta sudicia di morchia, apprendisti parrucchieri con la chioma lustra di brillantina. Li conosco tutti dai nomi di battaglia che si son dati: «Mazzola» è un tracagnotto biondastro dalla faccia larga e ridente; «Gabetto» un bruno esile e nervoso che ha la specialità di non scomporsi i capelli nemmeno nelle fasi più focose del giuoco; «Bacigalupo» è quello che, in genere, difende la porta, sorprendentemente agile per la sua rotonda corporatura; eppoi «Castigliano», «Menti», «Loik», «Ballarin», «Maroso», e così via. Ci sono, ci sono stati tutti i giorni, in piazza San Marco, a giocare: non so da quando, forse da sempre. Si allenano per la grande partita della domenica, quando si mettono in maglia e mutandine, e allora, ai margini, si raccoglie anche il pubblico dei passanti a guardare. In una di queste partite, uno di essi che si chiamava «Grézar», fu degradato sul campo: cioè i compagni gli tolsero quel nome, e gliene diedero un altro, più modesto. Oggi la degradazione è stata generale. Sparpagliati a gruppetti, ai quattro angoli della brulla piazza, a semicerchio intorno a uno che leggeva un giornale sgualcito, i ragazzini di San Marco avevano ripreso ognuno il proprio nome di tutti i giorni, quello col quale il maestro, a scuola, li chiama a recitare la poesia di Aleardi e il padrone della bottega li iscrive nel sindacato dei «praticanti».

E così «Mazzola» non era più che Dubini Mario, alunno della «quarta B». Era lui che leggeva il giornale ai compagni, sedutigli attorno in semicerchio, e ogni tanto approfittava della ciocca di capelli che gli scendeva sulla fronte per ritirarsela su, e passarsi, intanto, la mano sugli occhi. I suoi compagni più piccoli quelli che, in genere, venivano adibiti, nelle partite della domenica, a raccogliere le palle che uscivano in «fallo laterale» (quante volte ho rabbrividito, alla finestra, vedendoli guizzare fra un tram e un'automobile!) e che aspiravano a diventare, a loro volta, Loik, Gabetto, Bacigalupo e Maroso, stendevano, a una a una, per terra, come un generale distende la sua truppa, le figurine dei popolari giocatori, di cui ognuno di essi è, più o meno, ricco collezionista. C'era un po' di vento, e il pulviscolo di rena, che esso trascinava nella sua corsa, ogni tanto ricopriva una di quelle figurine, minacciando di sotterrarla; ma subito il collezionista la spazzava via, passando col dorso della mano una lieve carezza sul cartoncino e poi soffiandoci sopra, puntualmente. Sono ancora gli unici, i ragazzini di piazza San Marco e di tutta Italia che si ostinano a lottare contro i tentativi della rena di inghiottire i loro diciotto eroi.

E le figurine che li rappresentano nell'atto di calciare la palla o di ghermirla al volo, continuano ad essere oggetto di un affettuoso e reverente mercato, seguitano a passare di mano in mano, come vivificati per l'eternità dalla rispettosa ammirazione che suscitano nei loro giovani emuli. Per la partita del 22 maggio con l'Austria, se si farà, il collega Carosio, miracolosamente scampato al disastro, dovrebbe fare, per i ragazzi di tutta Italia, una trasmissione speciale, ribattezzando col nome degli scomparsi i loro sostituti. - Mazzola passa a Menti; Menti indietro a Castigliano...- dovrebbe egli dire al microfono; ché almeno ai ragazzi non sia tolta l'illusione dell'immortalità. Sono appena cinque giorni che li abbiamo visti giocare l'ultima volta, qui a Milano.

La squadra era incompleta. Ci mancava anche il suo capitano, Mazzola. Ma presente era l'orgoglio della bandiera, e fu questo che non le consentì di ammainarsi. Quella sera, a Milano, serpeggiava lo sconforto perché la squadra della città rivale si era cucita sul petto, proprio lì a San Siro, il suo quinto scudetto. E già domani l'erba comincerà a crescere sulla tomba di quei diciotto giovani atleti che sembravano simboleggiare una omerica, eterna, miracolosa giovinezza. Come possono rendersene conto i ragazzi di piazza San Marco e i giovani di tutta Italia? Gli eroi sono sempre stati immortali, agli occhi di chi in essi crede. E così crederanno i ragazzi, che il «Torino» non è morto: è soltanto «in trasferta». Ma anche a noi, che con animo di ragazzi abbiamo sempre frequentato e seguitiamo a frequentare gli stadi, sia consentito immaginare i diciotto atleti del «Torino», «in trasferta». Oh, non ci è difficile raffigurarci il grande campo che, lassù, li attende: senza limitazione di posti, lastricato di erba eternamente verde e molle, senza macchie di nuda terra. La squadra campione, con tutto il suo orgoglio di bandiera, ha voluto recarvisi a carico pieno: non solo gli undici «titolari» ha condotto con sé; ma anche sette «riserve», e l'allenatore, e il massaggiatore, e il direttore tecnico, e perfino tre giornalisti.

Vecchie conoscenze attendevano all'aeroporto quel velivolo carico di giovinezza e di speranza. E come facilmente le ravvisiamo! In prima fila Emilio Colombo, l'Omero dello sport italiano, forse l'unico tra noi che abbia serbato, sino a sessant'anni, intatta, la facoltà di credere nell'immortalità degli eroi. È lui, è lui: rossiccio in viso, alto e gagliardo, con lo stesso abito chiaro di gabardine con cui partì per l'ultimo «servizio», e, per la prima volta in vita sua, non si portò al seguito né un baule con sette vestiti, sette paia di scarpe e settanta camicie di ricambio, né una vasta collezione di saponi e profumi, né una vasca da bagno di caucciù. Accanto si tiene, in un gesto di affettuosa protezione, Attilio Ferraris che di poco lo precedette. Ferraris è ancora in «maglietta», perché in maglietta partì per la grande «trasferta», come Caligaris, mi sembra. Essi non rientrarono, infatti, negli spogliatoi, dopo l'ultima partita casalinga: dallo stadio di quaggiù a quello di lassù, tutto d'un fiato. E Neri ? Eccolo lì, col suo lungo naso. Quella del «Torino» fu proprio l'ultima sua maglia, e non l'abbandonò che per ammantarsi di tricolore, dopo che i Tedeschi l'ebbero fucilato su una collina di Romagna. Ma ora rientrerà in squadra con i compagni; sarà il diciannovesimo campione d'Italia in quest'ultima definitiva «trasferta».

Ascoltate, ragazzi di San Marco e di tutta Italia, ascoltate la radiotrasmissione di Emilio Colombo, che ha ricevuto dalle mani di Carosio, per oggi, il microfono. Domani, poi, ne leggerete le fasi nelle corrispondenze di Casalbore, di Cavallero, di Tosatti, i fedeli bardi di tante imprese gloriose, ai quali lo sport concedeva il meraviglioso privilegio di serbarsi fanciulli sotto i capelli che ingrigivano. «Mazzola passa a Menti, Menti indietro a Castigliano... (e qui la voce si fa concitata, e i ragazzi di San Marco e di tutta Italia si stringono, con gli occhi dilatati dall'emozione e dalla speranza, intorno all'altoparlante)... Castigliano avanti di nuovo a Mazzola che dribbla uno... due... tre avv... goal... goal... ». Chi grida così, chi grida? Siete voi stessi, ragazzi, o il vecchio Colombo, l'unico tra noi che sia riuscito a serbare, intatta, sino a sessanta anni, la facoltà di credere negli eroi ? O tutta la folla di quell'immenso stadio senza limitazione di posti in cui il «Torino» è andato a carico pieno (undici «titolari» e sette «riserve») a giocare la sua ultima vittoriosa «trasferta» ?

Triste è piazza San Marco, calva di alberi, con le sue gialle chiazze di terra senz'erba, con i suoi gruppetti di ragazzi spogliati dei loro nomi di battaglia e senza palla, solo con le figurine allineate tra le pozzanghere. Le due squadre che vi giocheranno domenica hanno deciso di portare il lutto: un segno nero al braccio, sulla maglia. I passanti si fermeranno, come sempre, a guardare; ma invano tenderanno l'orecchio per udire: - Forza Maroso... bravo, Bacigalupo... - nelle fasi salienti della partita. Domenica i giocatori si chiameranno soltanto Dubini Mario, Rossi Francesco, Bianchi Giuseppe, e giocheranno in silenzio, senza apostrofarsi. Domenica, otto giorni soli saranno trascorsi dall'ultima partita a San Siro dove il «Torino», solo a furia di orgoglio, si ricucì sul petto il quinto scudetto che inalienabilmente gli spetta (e voglio veder chi oserà portarglielo via) ma già i primi esili fili di erba saran cresciuti sulle diciotto tombe della squadra in «trasferta». «Forza Torino!», «Vinci Torino!».

di Indro Montanelli

lunedì, settembre 21, 2009

io non ci credo

far sedimentare le emozioni prima di scrivere, o di parlare, ci evita di dire troppe cazzate e a volte non basta neanche.
da qui, in ogni caso, il mio silenzio sui recenti e drammatici fatti di kabul.
se è vero che non si può non avere una umana compartecipazione emotiva nel vedere il figlioletto chiamare il padre all'arrivo delle bare, non si può neanche non essere irritati dai fiumi di retorica che si spendono, nella pubblica opinione italiana (e da parte delle nostre istituzioni), ogni qualvolta muoiono dei soldati italiani (per le morti dei militari degli altri paesi, no...) in una missione...di pace. non in tutti i paesi, a questo tipo di accadimenti, la reazione è la stessa, fortunatamente o sfortunatamente, per ragioni culturali, storiche, politiche ecc ecc questo è ovvio.

mi ha stupito ignazio la russa (vedi intervista rilasciata a TG2), ministro della difesa che, dopo aver parlato di atto "vigliacco" (un punto di vista soggettivo. ad esempio i kamikaze giapponesi che nella seconda guerra mondiale si lanciavano contro le corazzate statunitensi erano considerati la sintesi dell'eroismo supremo, mentre se oggi si immola un afghano è un vigliacco. strano, saran cambiati i tempi), finalmente ha detto le prime parole significative sul conflitto afghano parlando, in sintesi, di uno scontro militare (la GUERRA! quella, cito a memoria, ripudiata dalla costituzione italiana per risolvere le controversie internazionali...o tra paesi, non ricordo di preciso, ma il concetto è questo) in atto, contro il terrorismo, e non citando invece la solita manfrina sull'intervento umanitario.

io la penso un po' come vittorio zucconi: ormai siamo dentro una guerra, e allora facciamola bene!
storicamente (vedi libia o etiopia/somalia) "italiani brava gente" è una formula tanto auto-assolutoria quanto falsa.
in passato, in guerra gli italiani si sono comportati come ogni altro esercito. a seconda dei punti di vista bene o male.
in italia si riesce a far un gran calderone nazional-popolare mettendo insieme el alamein e cefalonia, laddove però, effettivamente, può aver senso parlare di un atteggiamento "eroico" da parte dei protagonisti.
il rischio, adesso, è che si diventi vittime delle nostre stesse falsificazioni (noi sempre "...brava gente") e della nostra stessa retorica ("...eroi qui eroi là", pace e bene).

personalmente dal punto di vista politico io disapprovo gli interventi in iraq (ricordiamoci della mistificazione delle presunte armi di distruzione di massa ovviamente mai trovate) e in afghanistan, dove è evidente il ruolo subalterno e sottomesso nei confronti degli stati uniti. se si decide però di "tener bordone", lasciamo perdere la finta egida di onu e simili, agli USA si dovrebbe poi comportarsi di conseguenza, senza piagnistei coccodrilleschi (un neologismo? forse ma ci siam capiti).
il nostro presidente del consiglio è fonte di ironia da parte di tutto il mondo per frasi e comportamenti, ma anche certi atteggiamenti "diffusi" non sono sicuramente un bel modo di presentarci di fronte alle altre nazioni.
per semplificare non me lo vedo obama, dico obama e non bush, strofinare come ha fatto napolitano una ad una tutte le bare di ritorno dal medio oriente e, banalmente, non è certo per una evidente discrepanza numerica tra i nostri e i loro caduti.
ad ogni nostro lutto si parla di fuga (adesso è di moda il sinonimo "exit strategy").
senza andar troppo lontano, il comportamento degli inglesi, pur con dei dubbi evidenti in seno alla pubblica opinione, mi pare più coerente e in linea con la loro tradizione militare e culturale.

alla fine il polpettone mandato in onda la scorsa settimana è effettivamente illuminante circa il modo di prendere parte a questo tipo di missione da parte di noi italiani.
il film "nassiryia - per non dimenticare", regia michele soavi, è sinceramente inguardabile per le interpretazioni non all'altezza da parte di bova e della pandolfi, ma la dice lunga sull'ambiguità che le nostri missioni suscitano nel sentire comune.
e alla fine l'interpretazione di un evento è più importante dell'evento stesso per la storia di un paese.

una delle prime scene vede l'eroico bova, alias maresciallo carboni, bloccare l'americano cattivo che tiene sotto tiro un civile sospetto...ma perchè? che senso ha? se non voler dire noi siamo i bravi e loro gli stronzi?
decisamente più seri e credibili i film degli anni 30-40 di propaganda fascista (vedi ad esempio "luciano serra pilota").
tutto il polpettone di nassiryia fa vedere il soldato italiano, che rinuncia al suo boccone di pane per darlo al bambino iracheno affamato come da stereotipo, intento unicamente ad aiutare la popolazione locale e trascurare il momento bellico, con l'esito finale ben noto.

o si crede assolutamente e fino alla fine in qualcosa...o è meglio non prendersi per il culo e non credere a niente! questo tipo di classifiche non ha senso e non voglio scader io nella retorica, ma sinceramente mi sembra di gran lunga maggiormente "eroico" il comportamento degli operai della thyssen-krupp (turni massacranti, condizioni di lavoro al limite della sopportazione, misure di sicurezza) che non quello di un volontario nell'esercito italiano che decide - per qualsiasi ragione in primis amor di patria o spirito umanitario - di andare a fare il proprio dovere in aree a rischio.

giovedì, settembre 17, 2009

testimonianza oculare

organizzando l'informazione in maniera bulgara [parlando di bulgaria è divertentissima la notizia di questi giorni: per due settimane di fila escono alla lotteria gli stessi numeri! qualcuno riesce ad essere più buffone di noi!] come è stato fatto per la presentazione "TV" delle opere realizzate a seguito del terremoto in abruzzo, succede che uno non riesca a capir bene come stanno le cose.
nella migliore delle ipotesi, viceversa uno viene preso per il naso.
io non ho capito un granché.
adesso non so se tutto quello che nel filmato su "repubblica" corrisponda al vero, ma so per certo che una affermazione, pesante, sul "modello friuli" è veritiera.

nel 1982 mio padre fu trasferito - e noi a seguire l'anno dopo - in friuli per seguire la ricostruzione delle case distrutte dal terremoto del 1976 (esperienza familiare e lavorativa poi ripetuta in basilicata anni dopo, nell'83-84. inciso: in quest'ultima esperienza ricevemmo una accoglienza affettuosa ed amichevole che in friuli non abbiamo nella maniera più assoluta incontrato).
il "modello friuli" è stato un modello vincente.
le cittadine friulane non hanno perso l'anima, come credo succederà a L'Aquila e comuni limitrofi.
per un innamorato della storia come il sottoscritto, vedere il centro storico abbandonato e colline spianate per costruire case dormitorio nuovo avulse da tutto il resto è una autentica violenza.
in friuli, a san daniele località picaron, alloggiavamo proprio nelle case prefabbricate citate nel servizio. la vita era assolutamente dignitosa, pur con inevitabili inconvenienti. qualche piccolo disagio che, per certo avendo constatato l'estrema dignità delle popolazioni locali, i cittadini abruzzesi avrebbe di buon grado sopportato se avessero potuto dire la loro sulla ricostruzione.
tutti lamentano la lentezza nel prendere le decisione da parte di chi governa, ma in questo caso credo che decidere alla cazzo sia ancor peggio che "perdere del tempo" a pensare.

lettera a "la repubblica"

carissima redazione,
leggo con molto piacere il vostro giornale nella versione cartacea ed occasionalmente in quella online.
oggi però ho trovato un errore davvero madornale che, a catena, ha fatto sì che lo stesso si sia replicato nei vari blog e siti web. si dovrebbe sempre risalire alle fonti o almeno verificarle!
no, non parlo del numero delle escort che hanno partecipato ai festini nella residenza di palazzo grazioli (in questo caso ci siamo), mi riferisco ai numeri di una partita di champions tra una squadra di torino e il bordeaux.

nella pagina http://www.repubblica.it/2009/09/sport/calcio/champions/juventus-bordeaux-14-set/diretta-juve-bordeaux/diretta-juve-bordeaux.html
nel tabellino indicate come numero di spettatori la cifra di 55mila.
forse sommando il numero degli spettatori della prima gara di campionato e delle ultime tre dello scorso anno si arriva a questa cifra.
orbene la capienza dell'olimpico di torino è di circa 27.000 spettatori e nella gara in oggetto gli spettatori erano, come indicato "addirittura" da La Stampa (giornale a respiro locale della famiglia agnelli che metteva in evidenza che c'erano più spettatori per torino-empoli 18.606), circa 17.000.

vi chiederei cortesemente una rettifica del dato errato,
al fine che sia, ancora una volta, chiaro che torino è stata e resterà granata,

sicuro della vostra correttezza e disponibilità colgo l'occasione per ringraziarvi e continuare a leggervi,
segue firma

suma a post

leggo che briatore, accusato di comportamento scorretto nella conduzione del team renault di formula 1, viene difeso da moggi [dico luciano moggi!!!] e galliani!
come si dice, quando la pezza è peggio del buco...

mercoledì, settembre 16, 2009

game goy

un buon blog deve divertire e la componente ludica è imprescindibile per fidelizzare il lettore. ecco di conseguenza il gioco di oggi:
trova l'arbitro più cool! (ho detto cool non culo)
se sei in difficoltà utilizza il suggerimento posto, come dice la parola stessa, a fine post. l'oroscopo la prossima settimana


suggerimento: cerca nelle ultime file

venerdì, settembre 11, 2009

per non dimenticare Franco Lechner

io non ci sto!
non è giusto! a "bombolo" nessun funerale di stato!
perché a mike sì? Allora lo pretendo anche per pippo baudo e maurizio costanzo show che hanno fatto la storia della TV, al pari del signor allegria!
da valutare le posizioni di DJ francesco - il ragazzo si farà anche se ha le spalle strette -, carlo conti e quel mito di amadeus [ma la marcuzzi? perché no! tv di qualità!].

le parole di umberto eco l'hanno reso immortale in vita, anche se lo stesso giudizio formulato oggi perderebbe di significato di fronte alle tante e ai tanti presentatori mediocri, innanzi ai quali arrivi a rimpiangere lo stesso defunto o pippo baudo, ah quando c'era lui...

lo ammetto, mike non l'ho mai sopportato: troppo legato, sempre, al suo utile...
anche questo enfatizzato connubio artistico con fiorello (qualcuno li ha paragonati a peppino e totò: "ma mi faccia[no] il piacere!")...a me è sempre sembrata una simpatia creata ad arte, mal recitata.
sono in realtà le imitazioni del bravissimo rosario fiorello che, mettendo in risalto gli aspetti più ridicoli [e "cattivi!"] del bongiorno, l'hanno rilanciato alla grande permettendogli un insperato prolungamento della carriera.
sicuramente sarà stato mediocre come diceva eco, ma si è dimostrato di una astuzia, nella gestione del suo personaggio, inarrivabile, tralasciando la questione sulle gaffe vere o presunte (alcune sono vere, secondo me, altre create allo scopo, avendo intuito che pagavano).
il dato preoccupante è proprio questo: non ci avesse lasciato l'altro giorno, ce lo saremmo sorbito fino a 100 anni. pericolo scampato.
largo ai giovani. io farei come moggi jr, punterei sulla d'amico.
dai luciano, si scherza! non te la prendere: la famigliola dai solidi valori morali non te la tocca nessuno.

ma ve lo ricordate quando mike invitò a votare per il suo datore di lavoro?
un furbone! più potere al secondo, più dindini al primo.
quando si parlava della sua elezione a senatore a vita rabbrividivo.
altro pericolo scampato.

martedì, settembre 08, 2009

ma chi sta meglio di lui?

sottinteso, noi non abbiamo capito un cazzo.

di lavori belli, nella vita, non ce ne sono tanti.
uno, ma non so bene che lavoro sia, lo fa sicuramente il mio "socio" - non in affari, ma di bisboccia - wulf.

chiamo alle 3 di pomeriggio...e lui sta dormendo.
chiamo alle 14 e lui è al ristorante.
chiamo alle 18 e lui è a prendere aperitivo
chiamo alle 19 sta comprando gratta&vinci e sigarette
chiamo alle 10 e lui è al bar per la colazione
chiamo alle 11 è al telefono con una amica
chiamo alle 11.30 è in pausa e si prende un caffè con la sigaretta
chiamo alle 22 vede un filmetto
(ok! anch'io rompo un po' le palle...ma lo chiamo in giorni diversi!!!)

un altro è sicuramente quello narrato da revelli quando parla di Cin 'd Luleta, un omino che passava tra le montagne a succhiare il latte di troppo alle nutrici, ossia a pupé le done

lunedì, settembre 07, 2009

elogio del non fare

l'altro giorno, sfatto dalla fatica per i test atletici (maledetto cooper) mi sono dedicato ad una attività che ormai faccio raramente.
mi sono messo a pensare, del resto altro non mi pareva di poter fare essendo debilitato e stanchissimo.
viceversa corro a destra e a manca oppure "devo" leggere qualcosa, vedere un film ascoltare della musica
(ovviamente, prevengo l'obiezione, due cose contemporaneamente non riesco a farle).

devo dire che è stato piacevole.
nella frenesia, paradossalmente, sia delle ferie che del lavoro è facile essere vittima di automatismi e di ritmi troppo veloci per avere il tempo di farlo. quando si pensa poi vengono inevitabilmente fuori delle idee e, se ci sono, soluzioni ai problemi che ci assillano.
si fanno progetti, si immagina, si sogna.
in epoca di crisi economica e di risorse non disponibili, pensare è attività ecologica.
non vorrei però essere frainteso: non è questo un elogio del pensare e agire di conseguenza,
ma un invito a pensare e ripensare senza mai mettere in pratica le idee e i progetti sui quali si è riflettuto.
se infatti si procedesse all'azione si rientrerebbe nel circolo vizioso iniziale, con ansia di realizzare i propri pensati obiettivi.
quindi il segreto per vivere felici è non fare nulla.

venerdì, settembre 04, 2009

ciao riccardo

falsi miti e memoria

una frase di revelli chiarisce, indirettamente, più di molti trattati l'importanza del pluralismo: "E' nel confronto delle voci che i miti si ridimensionano, che i miti crollano." cfr pagina XXXII, il mondo dei vinti, nuto revelli

la raccolta di testimonianze che revelli fece negli anni 70 andando in giro per il piemonte è una lettura molto interessante specie in una fase storica, la nostra, dove il recupero del passato passa molto attraverso "i sapori" di un tempo (vedi sagre o l'enfasi sui prodotti tipici, e strapagati, di eataly) e molto meno sugli aspetti umani legati al passato.
un po' come quelli, io tra questi, che si fanno una religione a loro immagine e somiglianza e poi si dichiarano "cattolici".
quindi da una parte, anche se non possiamo non dirci cattolici..., per dirsi cattolici occorrerebbe rispettare i dettami della chiesa e, allo stesso modo, per
esaltare il passato bucolico occorrerebbe non trascurarne anche gli aspetti meno idilliaci. non so se il parallelismo regga, ma ormai l'ho scritto.

nonostante la memoria renda più dolci anche le esperienze più aspre, quello che emerge principalmente dai racconti dei contadini piemontesi registrati da revelli è la fatica immensa ("culo" si direbbe oggi) che si faceva a lavorare la terra e, quindi, a tirare a campare.
in un modo di poveracci c'era sicuramente più coesione sociale e meno invidia dell'altro ma "il si stava meglio una volta"...beh è difficile da sostenere oltre ad essere irritante per la sua infantile superficialità.
"fortunatamente" la crisi economica ci sta riportando tutti, o meglio la maggioranza, con le pezze al culo. chissà se ritroveremo la piacevolezza di questa dimensione comunitaria. bah, mi sembra difficile, siamo troppo corrotti. come sempre, io per primo.
se vogliamo questi sono anche i temi che vengono richiamati dal bellissimo telefilm - incredibile qsa di potabile e gratis in tv - andato in onda ieri sera su rai tre "survivors", un remake di un telefilm anni 70. in breve, una epidemia azzera (o quasi) la popolazione sulla terra (porterà sfiga in vista della pandemia suina di natale? tocchiamoci pure) e i sopravvissuti si devono dare un attimino da fare.
vabbè sto divagando. rimanendo nella divagazione televisiva, mi è anche piaciuto the mentalist in programmazione un paio di giorno or sono su Italia 1 (grazie silvio).
finalmente un canovaccio diverso dai recenti telefilm che basano la risoluzione dei crimini su prove scientifiche, invariabilmente con lo stesso schema, un po' come il buon dottor house. bello anche quest'ultimo...ma è sempre la stessa solfa!

per chi si dice cattolico ma non lo è e per chi è pigro e non ama leggere, la versione moderna e aggiornata, mutatis mutandis, dell'opera di revelli è online bancadellamemoria.it

giovedì, settembre 03, 2009

saper leggere tra le righe e ridere con poco

John Elkann dice, indignato, che il nonno non nascondeva "1" tesoretto all'estero...io l'ho trovato molto sincero!
"1"?

ieri sera alle 19.15 mi sono soffermato su rete 4 quando ho visto che c'era capezzone.
ho assistito ad uno scambio di battute esilarante tra il fede e il buon capezzone: una vera gara a chi la spara più grossa. uno scambio mellifluo di convenevoli e complimenti reciproci semplicemente imbarazzante.
il gioco a chi è più berlusconiano dell'altro.

capisco ancora fede, ma capezzone...perché lo fai?
si, va bene, posso immaginarlo...ma ne vale davvero la pena?
sei ancora giovane! chissà cosa direbbe pannella!

PS.: i filmati su youtube "capezzone fede" abbondano, credo sia ormai "un genere"
altro che fiorello a pagamento su sky...

mercoledì, settembre 02, 2009

perbenismo

è ora di finirla. siamo tutti pronti a puntare il dito contro questo e quello.
basta aprire un blog e sputare sentenze. siamo tutti bravi a sembrare bravi.
io farei così...io farei cosà.
poi quando veniamo toccati in prima persona diventiamo tutti leghisti!
diciamo le cose come stanno e addio buone maniere e frasi di circostanza.
ecco perché io non mi sento di condannare questo signore: