giovedì, dicembre 15, 2016

condivido un pezzo che condivido

ENNESIMO UN CAZZO
L'ennesimo un cazzo.
Se c'è una cosa che il derby di domenica non è stato è un ennesimo.
A meno di non considerare solo e unicamente il risultato finale, il che però è da gobbi.
Il derby di domenica è stato il primo del nuovo Toro, per quanto mi riguarda.
Il primo dopo aver finalmente dato a quello stadio un nome che la città attendeva da anni.
Il primo dopo aver finalmente messo in panchina uno che la vede come noi, la racconta come noi e la vive come noi.
Il primo finalmente giocato con l'idea di andare a prenderli e a prendergliela e non con quella di non prenderle.

Io non so cosa voi vi attendiate dal Toro, nel 2016.
So solo che finalmente abbiamo uno che non lo fermano neanche con le cannonate, e che quando ha segnato ci ha fatto tornare bambini.
Che siamo pieni di ragazzi che possono sbagliare, ma lo fanno con coraggio e sfrontatezza. Oggi in granata, domani in azzurro. Che abbiamo un portiere che è stato l'ultimo ad arrendersi, anche se arriva da oltre Manica, perché ci mette il cuore, insieme ai riflessi.
Che diversi gobbi hanno avuto sinceramente paura di perderla, anche se ora fanno finta di niente o negano (sono fatti così). Che non serve più che un funambolo brasiliano si faccia ottanta metri con la palla al piede per vederla finire in fondo al sacco. Può succedere e risuccederà perché in campo ce ne sono undici a volerlo e a fare di tutto perché succeda, finché ne hanno.

Sarò sincero, alla vigilia temevo lo choc anafilattico. Che cioè le robuste iniezioni di grinta e aggressività somministrate da Sinisa e rafforzate da noi tutti potessero essere fatali ai ragazzi.
Poi ho visto un ragazzo cresciuto col granata addosso cercare e riuscire a mandare al bar quel pagliaccio di Cuadrado. Magari incespicando, senza sembrare un videogioco, ma mandarlo al bar.
E allora ho capito che il più è fatto, ed è francamente un più ENORME.
Su questi ragazzi pesa un macigno dal quale è tempo di sgravarli. Il peso di dover essere Davide contro Golia. Il peso di dover fare un regalo a mezza Italia e a tutta Torino. Il peso di dimostrare a scettici e rassegnati che puoi sederti a un tavolo di poker con 100 euro e vincere anche se il tuo avversario ne ha mille ed è amico del croupier.
E' tempo di togliere questo peso ai nostri ragazzi, perché di derby ne hanno perso UNO e potevano anche vincerlo.
Gli altri vanno in conto a noi, e non a loro. Perché abbiamo le spalle larghe e in fin dei conti anziché ammazzarci ci hanno rafforzato.
Abbiamo perso un derby. E' davvero l'unica cattiva notizia.

SEMPRE FORZA TORO

sabato, dicembre 03, 2016

Il segreto del Toro


Ogni tanto mi chiedono perché noi del Toro ci sentiamo diversi, dove risiede questa presunta unicità. La risposta evidente è: a Superga. Quella segreta: in un gabinetto chiuso a chiave. Ecco la storia. Oggi si celebra la Natività Granata, avvenuta a Torino il 3 dicembre di 110 anni fa in una birreria di piazza Solferino. A metterci al mondo fu un burbero e romantico venditore di scarpe svizzero, Alfredo Dick, che si era appena dimesso da presidente del primo scudetto juventino in polemica con gli altri soci favorevoli al professionismo. Il mese successivo si disputò il nonno di tutti i derby e lo vincemmo noi: due a uno. Un trionfo che Dick non vide, perché durante l’intervallo la manina di qualche ex socio lo aveva chiuso dentro i bagni dello stadio. Il brav’uomo passò l’intero secondo tempo a battere i pugni contro la porta per farsela aprire, ma invano. Non esistevano i telefonini e solo a vittoria raggiunta gli amici si accorsero della scomparsa di Dick. Furono attratti da un rumore sordo che arrivava dai gabinetti. Era il suono delle sue imprecazioni pronunciate in varie lingue: ne conosceva moltissime. 

La sorte del Toro era già fissata in quella istantanea. Essere vittima di agguati. Non godersi mai nulla fino in fondo. Gioire lamentandosi e nel lamento gioire. Assaporare il retrogusto amaro della felicità e quello dolce della sventura, a cui segue immancabile un riscatto sempre precario. Vivere, insomma. Ciò che il fragile Dick smise volontariamente di fare a 44 anni, lasciandoci in eredità questa creatura bizzarra e amatissima.

Granata da legare
MASSIMO GRAMELLINI
La Stampa 03.12.16