mercoledì, settembre 16, 2020

Perchè fare l'arbitro di calcio?

 SÌ VIAGGIARE

Arbitrare mi manca come il pane ad un affamato, è noto.
L'altro giorno riflettevo che a mancarmi non é solo la partita, ma anche il viaggio per andare a farla e, soprattutto, quello del ritorno.
Tutto era un po' rituale, in effetti: l'attesa della designazione e poi la preparazione, nei giorni precedenti, del percorso, la "predisposizione" del referto, prima cartaceo e poi, negli ultimi anni, digitale.
Ammetto che il rito lo preferivo gestito in totale solitudine e la presenza di colleghi, per la terna, rendeva lo stesso un po' meno piacevole o meglio diverso.
Amavo il silenzio del viaggio di andata, rigorosamente fatto evitando l'autostrada.
Mi piaceva partire con un anticipo largo, per permettermi di avvicinarmi gradualmente alla gara, concentrandomi. Ricordando, se ce n'erano, i precedenti su quel campo e le caratteristiche stesse dell'impianto per partire con il piccolo vantaggio di conoscere già l'arena, tra virgolette, dello scontro.
Le riflessioni sulle squadre e i giocatori.
Di solito prendevo, prima di arrivare al campo sportivo, un cappuccio e una brioche come pranzo, andando nel bar conosciuto o in uno che mi ispirasse e soprattutto che avesse il giornale, per allentare un po' l'attesa. Bar non sempre facile da trovare nei paesini...e poi la dissimulazione difficilissima, per non essere identificato in anticipo come l'arbitro della partita, un piccolo evento nei piccoli centri piemontesi o valdostani.
Della partita ho parlato spesso.
Quindi la salto per arrivare alla doccia.
Primo vero momento di recupero, più mentale che fisico, dopo quanto accaduto sul terreno di gioco.
Una doccia calda per lavare via il sudore ma anche le "incrostazioni" - i diverbi, gli scontri, le contrapposizioni, le proteste - della gara appena conclusa.
E poi il viaggio di ritorno forse il momento più "autoformativo" della giornata.
A questo pensavo ieri.
E di questo ho parlato oggi ad un corso sull'intelligenza emotiva. In modo pertinente, per altro.
Nel ritorno, indipendentemente dall'esito della prestazione, dalla stanchezza, analizzavo frame per frame ogni momento della gara. Ripensavo a come avevo agito o reagito ad un evento, a cosa avevo detto o taciuto, se ero stato troppo aggressivo o non quanto sarebbe stato necessario in un determinato frangente.
Anche perché qualsiasi partita ha il suo punto di svolta e tu quel momento non lo puoi fallire...puoi fare tutto bene, ma se manchi in quel momento particolare, non avrai portato a casa una gran prestazione, é sicuro.
Una disamina puntuale, tutto in ottica di far meglio nella gara dopo.
La riflessione parodossale che mi veniva da fare ieri è che per nessun'altra mia attività o occupazione ho messo mai tanto impegno, tanta abnegazione...e qui mia moglie assentirebbe.
Ovviamente a lavoro o in amore ho sempre analizzato e "rivisto" situazioni o momenti, in modo critico, ma mai con la stessa metodicità lo stesso approccio analitico e sistematico di quei viaggi, in auto, di ritorno.
Sará che è stata una passione totalizzante e un'esperienza che mi ha dato tantissimo, sarà l'adrenalina, sarà il "palcoscenico" o il gusto della sfida o che a vent'anni (30/40) si é stupidi davvero...quanto darei per rivivere quel fottuto rito, cristo.
Non mi rimane che spiegarlo ai ragazzi che vado a vedere e che paiono sempre un po' increduli quando dico che io di gare non ne ho mai rifiutata una in vita mia e quindi di godersele tutte e non c'é e non ci deve essere esame o morosa che tenga per saltarne una.

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